Ciò che fai, la maniera nella quale lo fai, condiziona ciò che sei.
Cerchiamo di capire quanto siamo responsabili delle nostre scelte e delle ripercussioni che esse hanno sul nostro modo di essere.
Cerchiamo un buon insegnante,per esempio.
Non uno che sappia solo fare la sua disciplina.
Ma uno che ne incarni lo spirito e che abbia una sana passione nel trasmetterlo.
Dopo questa breve raccomandazione, un video interessante che ho trovato in rete.
http://www.youtube.com/watch?v=KePHdXgpAdk&feature=relmfu
Non lasciatevi impressionare dal phisique du role del tizio alla Kung fu panda.
Dice cose molto simpatiche!
19 aprile 2012
15 aprile 2012
Il preconcetto, mia nonna e la doccia propedeutica
Ci sono thriller in cui, già nei titoli di testa, hai capito chi è l'assassino.
Il maggiordomo, o il postino, che in quel caso si sputtana alla seconda scampanellata.
Ce ne sono altri in cui non capisci chi è l'assassino nemmeno ai titoli di coda.
Quelli pieni di personaggi dai nomi quasi uguali, con le scene desaturate, in modo che nemmeno i colori possano aiutarti e con flashback e flashback nei flashback, che dopo dieci minuti non sai più cosa stai guardando e cominci a giochicchiare col telefonino.
Poi ce ne sono alcuni in cui, ad arte, per tutti i primi 80 minuti vieni convinto dal regista che l'assassino è quello brutto e cinico, che ha sempre le mani lorde di sangue e si trova sempre mezzo nascosto nell'ombra
e negli ultimi dieci minuti viene fuori che il tizio è uno stinco di santo con le mani sporche di marmellata e fotofobico, mentre l'assassino è la mamma paraplegica del protagonista.
Un colpo di scena sparato senza preavviso, che ottiene sempre l'effetto desiderato, perché picchia laddove fa più male: sui nostri preconcetti e le nostre certezze.
Questo mi fa pensare a noi aikidoka.
Quante delle cose che diamo per scontate, invece sono a prezzo pieno?
Voglio dire, quante delle nozioni su chi basiamo completamente la nostra conoscenza, anzi di più, il nostro pensiero e la nostra visione marziale, sono davvero dei pilastri intoccabili e rappresentano effettivamente le fondamenta più stabili su cui erigere tutto il resto?
Mettetevi seduti comodi e facciamo qualche piccolo esempio.
Omote ed ura, per esempio.
Diamo per scontato che in Aikido esistano due forme di una stessa tecnica, che hanno lo stesso nome, Ikkyo, per esempio, ma che la sigla "o mote" o "ura" individui due azioni completamente differenti, due tecniche che cominciano e finiscono in due punti agli antipodi l'uno dall'altro.
Così, Ikkyo omote, comincia con un passo in direzione della pancia di uke e si sviluppa avanzando, mentre Ikkyo Ura comincia con un passo in direzione della sua schiena e si sviluppa girando.
La certezza è che noi possiamo decidere da subito se passare in omote o ura e scegliere la direzione in funzione di quello che più ci da sfizio in quel momento.
Tipo pokemon.
"Pikachu, scelgo teee!"
Quando vediamo un insegnante, invece, muoversi in direzione della schiena di uke, per rientrare verso il suo addome, rimaniamo sorpresi e sconvolti dal colpo di scena, dall'assassino inaspettato.
Quando qualcuno cambia le carte in tavola, ci lascia sempre perplessi ed interdetti...
Probabilmente perché non abbiamo mai pensato che non dovremmo avere né carte né tavole nella nostra mente...
Quando insegno omote ed ura, oggi comincio sempre nello stesso modo. Ingaggiando un contatto e guidandolo in posizione di disequilibrio.
Omote o Ura sono il risultato di un posizionamento del compagno per riequilibrarsi, avanzando con un piede o con un altro e mettendoci in uno spazio interno o esterno alla sua guardia.
A conti fatti è così che preferisco chiamare le due versioni: interna ed esterna, soto ed uchi.
Omote ed Ura, invece, significano "Visibile e Nascosto".
Il mio parere, mi pare di averlo scritto da qualche parte in giro, è quello che Omote fosse la parte della strategia che poteva essere mostrata agli altri ed Ura, quella da tenere nascosta, da insegnare solo agli uomini di cui ci si fidava veramente.
Ikkyo, o chi per esso, era la somma delle due parti, la cima ed il corpo dell'Iceberg.
Oppure vogliamo fare l'esempio di Irimitenkan?
Dal primo istante che saliamo sul tatami ci convincono che sia possibile girare intorno a qualcuno che nel frattempo ci permette di arrivargli alle spalle.
Qualcuno che è,se visualizzassimo il kata di iriminage per esempio, il centro del cerchio, nell'irimitenkan, al quale basterebbe un passo per eludere il nostro movimento e controllare il nostro centro.
Quel passo che faremmo noi, se a girarci intorno fosse uke....
La perversione dell'allenamento che crea due coscienze, una furba e smaliziata, tori, ed una idiota e senza riflessi, uke.
Eppure, ogni volta che provo a girare intorno a mia nonna, che è maestra di ragù e ignorante di arti marziali, lei si gira sempre per vedere dove vado, e così facendo controlla comunque il mio centro....
Eppure mentre ruotiamo per portarci paralleli ad uke, non ci accorgiamo che siamo passati attraverso una moltitudine di angoli nei quali eravamo noi a controllare l'azione, dai quali muoverlo, sbilanciarlo o colpirlo, era semplice oltre che possibile...
Gli stessi angoli tanto preziosi quando facciamo Bokken o Jo, per esempio...
Ma che dimentichiamo di sviluppare, quando siamo in taijutsu.
Armi che mancheranno al nostro arsenale quando saremo in azioni libere.
Ok.
SE saremo in azioni libere...
Il messaggio è chiaro.
Mettere in discussione ciò che diamo per certo ci aiuta a diventare più consapevoli del nostro percorso.
Se siamo ancora sulla strada, se andiamo dove volevamo andare e se quello era il posto migliore da cui partire.
E smettiamola di credere alle cazzate che imparando ad agitare le braccia sotto la doccia ci stiamo allenando a nuotare.
Che è uno step propedeutico obbligato per sopravvivere in acqua.
Alleniamoci a muoverci così come vogliamo muoverci, senza prenderci in giro.
E senza lasciare che lo facciano gli altri.
Saltando di palo in frasca, questo è un video carino sul Systema. Fatemi sapere se vi è piaciuto.
Il maggiordomo, o il postino, che in quel caso si sputtana alla seconda scampanellata.
Ce ne sono altri in cui non capisci chi è l'assassino nemmeno ai titoli di coda.
Quelli pieni di personaggi dai nomi quasi uguali, con le scene desaturate, in modo che nemmeno i colori possano aiutarti e con flashback e flashback nei flashback, che dopo dieci minuti non sai più cosa stai guardando e cominci a giochicchiare col telefonino.
Poi ce ne sono alcuni in cui, ad arte, per tutti i primi 80 minuti vieni convinto dal regista che l'assassino è quello brutto e cinico, che ha sempre le mani lorde di sangue e si trova sempre mezzo nascosto nell'ombra
e negli ultimi dieci minuti viene fuori che il tizio è uno stinco di santo con le mani sporche di marmellata e fotofobico, mentre l'assassino è la mamma paraplegica del protagonista.
Un colpo di scena sparato senza preavviso, che ottiene sempre l'effetto desiderato, perché picchia laddove fa più male: sui nostri preconcetti e le nostre certezze.
Questo mi fa pensare a noi aikidoka.
Quante delle cose che diamo per scontate, invece sono a prezzo pieno?
Voglio dire, quante delle nozioni su chi basiamo completamente la nostra conoscenza, anzi di più, il nostro pensiero e la nostra visione marziale, sono davvero dei pilastri intoccabili e rappresentano effettivamente le fondamenta più stabili su cui erigere tutto il resto?
Mettetevi seduti comodi e facciamo qualche piccolo esempio.
Omote ed ura, per esempio.
Diamo per scontato che in Aikido esistano due forme di una stessa tecnica, che hanno lo stesso nome, Ikkyo, per esempio, ma che la sigla "o mote" o "ura" individui due azioni completamente differenti, due tecniche che cominciano e finiscono in due punti agli antipodi l'uno dall'altro.
Così, Ikkyo omote, comincia con un passo in direzione della pancia di uke e si sviluppa avanzando, mentre Ikkyo Ura comincia con un passo in direzione della sua schiena e si sviluppa girando.
La certezza è che noi possiamo decidere da subito se passare in omote o ura e scegliere la direzione in funzione di quello che più ci da sfizio in quel momento.
Tipo pokemon.
"Pikachu, scelgo teee!"
Quando vediamo un insegnante, invece, muoversi in direzione della schiena di uke, per rientrare verso il suo addome, rimaniamo sorpresi e sconvolti dal colpo di scena, dall'assassino inaspettato.
Quando qualcuno cambia le carte in tavola, ci lascia sempre perplessi ed interdetti...
Probabilmente perché non abbiamo mai pensato che non dovremmo avere né carte né tavole nella nostra mente...
Quando insegno omote ed ura, oggi comincio sempre nello stesso modo. Ingaggiando un contatto e guidandolo in posizione di disequilibrio.
Omote o Ura sono il risultato di un posizionamento del compagno per riequilibrarsi, avanzando con un piede o con un altro e mettendoci in uno spazio interno o esterno alla sua guardia.
A conti fatti è così che preferisco chiamare le due versioni: interna ed esterna, soto ed uchi.
Omote ed Ura, invece, significano "Visibile e Nascosto".
Il mio parere, mi pare di averlo scritto da qualche parte in giro, è quello che Omote fosse la parte della strategia che poteva essere mostrata agli altri ed Ura, quella da tenere nascosta, da insegnare solo agli uomini di cui ci si fidava veramente.
Ikkyo, o chi per esso, era la somma delle due parti, la cima ed il corpo dell'Iceberg.
Oppure vogliamo fare l'esempio di Irimitenkan?
Dal primo istante che saliamo sul tatami ci convincono che sia possibile girare intorno a qualcuno che nel frattempo ci permette di arrivargli alle spalle.
Qualcuno che è,se visualizzassimo il kata di iriminage per esempio, il centro del cerchio, nell'irimitenkan, al quale basterebbe un passo per eludere il nostro movimento e controllare il nostro centro.
Quel passo che faremmo noi, se a girarci intorno fosse uke....
La perversione dell'allenamento che crea due coscienze, una furba e smaliziata, tori, ed una idiota e senza riflessi, uke.
Eppure, ogni volta che provo a girare intorno a mia nonna, che è maestra di ragù e ignorante di arti marziali, lei si gira sempre per vedere dove vado, e così facendo controlla comunque il mio centro....
Eppure mentre ruotiamo per portarci paralleli ad uke, non ci accorgiamo che siamo passati attraverso una moltitudine di angoli nei quali eravamo noi a controllare l'azione, dai quali muoverlo, sbilanciarlo o colpirlo, era semplice oltre che possibile...
Gli stessi angoli tanto preziosi quando facciamo Bokken o Jo, per esempio...
Ma che dimentichiamo di sviluppare, quando siamo in taijutsu.
Armi che mancheranno al nostro arsenale quando saremo in azioni libere.
Ok.
SE saremo in azioni libere...
Il messaggio è chiaro.
Mettere in discussione ciò che diamo per certo ci aiuta a diventare più consapevoli del nostro percorso.
Se siamo ancora sulla strada, se andiamo dove volevamo andare e se quello era il posto migliore da cui partire.
E smettiamola di credere alle cazzate che imparando ad agitare le braccia sotto la doccia ci stiamo allenando a nuotare.
Che è uno step propedeutico obbligato per sopravvivere in acqua.
Alleniamoci a muoverci così come vogliamo muoverci, senza prenderci in giro.
E senza lasciare che lo facciano gli altri.
Saltando di palo in frasca, questo è un video carino sul Systema. Fatemi sapere se vi è piaciuto.
7 aprile 2012
4 aprile 2012
"Accattatevi il grado! Gradi freschi freschi di giornataaa! Signora, si muovono ancora!!!!"
Recentemente ascoltavo una signora di mezza età tessere le lodi di un pollo ruspante che aveva avuto modo di mangiare in campagna, a casa di non so quale sua vecchia amica...
Raccontava in maniera così dettagliata del gusto, della corposità della carne, del profumo, dell'aroma sprigionato dallo spiedo, che vi assicuro, mi risvegliò un tremendo appetito!
Fiondatomi nella prima rosticceria a portata di mano, già con l'acquolina in bocca mi preparavo a gustare una bella coscia arrostita.
Sinceramente, più masticavo e meno riuscivo a ritrovare il gusto e l'aroma tanto decantato...
Quando, con enorme delusione pagai il conto e lasciai la sala, mi vennero in mente un paio di riflessioni.
Cosa rende gustosa la carne di un animale (non me ne vogliano i vegetariani!) e cosa, invece, rende sciapita ed insipida quella di un altro della stessa razza?
Cosa vuol dire Pollo Paesano o Ruspante?
Tutto dipende da come è stato nutrito, da come lo si è alimentato.
Lo stesso bipede, con gli stessi genitori, nutrito in maniera artificiale, con alimenti utili appena alla sopravvivenza e cresciuto ad ormoni, avrà il sapore del cartone del pane, vecchio di tre giorni.
Alimentato e cresciuto, invece, in maniera naturale, avrà il sapore che tanto entusiasmava la vecchia e che tanta acquolina richiamava nella mia bocca.
Lo so cosa avete fatto, adesso.
Avete alzato gli occhi per capire se eravate ancora su Aikido Vivo o vi eravate ritrovati, chissà come, su Pollame Oggi...
Dove voglio arrivare?
Voglio dire che un Aikidoka vale quello di cui si nutre.
I sentimenti che impara a ricercare nella sua pratica, quello che trasmette ai compagni,la maniera con cui vive nella quotidianità i suoi passi sulla Via.
Quanto contribuisce a tutto questo la figura del Maestro?
Secondo me, molto.
Credo poco a coloro che dicono di vedere nell'insegnante solo un manuale della tecnica, solo un esempio del movimento.
Sono convinto,invece, che un maestro passi molto di più ai suoi allievi: l'attitudine, la visione, la disposizione interiore nei confronti della pratica.
Un maestro che sorride, avrà allievi sorridenti, fidatevi di me.
Un maestro col volto e l'espressione alla "cazzoguardi!", avrà allievi alla cazzoguardi.
Un maestro che commercia con la propria pratica, avrà solo "clienti" che comprano pezzi della sua pratica.
"Ti pago? insegnami Ikkyo."
"Ti pago? dammi il grado!"
Oggi vanno molto di moda i gradi Aikikai.
L'idea è che un maestro riconosciuto da qualcuno a Tokyo è più valido di uno riconosciuto solo in Italia.
In un mondo ideale, il maestro in questione sarebbe andato di persona all'Hombu Dojo a farsi esaminare e si sarebbe guadagnato il grado sul campo.
In un mondo ideale...
Nella realtà basta pagare (cifre esorbitanti), e la segreteria dell'Hombu ti riconosce senza problemi.
Pure la patente, se glielo chiedi (e glielo paghi)!
Dunque chi non se lo può permettere, si accontenta di lavorare a casa sua, magari facendosi un mazzo così, per portare avanti un discorso di insegnamento non lucrativo, per non speculare sugli allievi o semplicemente perché non è interessato a pettinare il suo ego mandando in vacanza la famiglia Ueshiba.
Ma lavora sodo, sudando sette keikogi, mettendosi in discussione continuamente, crescendo bravi allievi e devolvendo il proprio budget per fare seminari ed allenarsi invece che comprare gradi internazionali.
E agli occhi della gente vale meno di chi non fa un benamato caxxo, ed indossa il keikogi solo per farsi fotografare, ma ha pagato caro e amaro perché qualcuno del Sol Levante giurasse su sua cognata di conoscerlo da sempre e certificasse il suo essere "Bravo bravo in modo assurdo".
Qualcun'altro, come il sottoscritto, ha accettato i gradi Aikikai nonostante non gli fregasse un'emerita cippa della segreteria dell'Hombu o di dimostrare qualcosa a chicche & sia.
Semplicemente ha visto nel riconoscimento internazionale arrivatogli dal suo Caposcuola, nel mio caso anche senza averlo richiesto, una testimonianza del rapporto Maestro-Allievo che andasse al di là della Associazione Nazionale presso cui si fosse tesserato ed assicurato.
Nient'altro che utopia e sogni di mezz'estate, credetemi.
Gli Shihan intascano la metà dei soldi pagati per ogni grado (parliamo di circa 1200 euro per un sesto dan).
E dunque, come la storia ha dimostrato, riconosce senza problemi chiunque gli venga detto di riconoscere, purché paghi, cash e seduta stante, fino all'ultimo centesimo.
Sfogo a parte, davvero vogliamo vivere in un mondo dove le certificazioni comprate a caro prezzo sostituiscano il valore conquistato con l'esperienza, con lo studio, con il sudore?
Davvero vogliamo dare peso a qualcuno, solo perché ha un numero scritto sul libretto, dando per buono tutte le masturbazioni mentali che ci presenta come oro colato?
Noi abbiamo deciso di smettere.
La prima cosa che faremo, sarà di non comprare più i gradi in Giappone.
Il nostro valore può essere certificato soltanto dal tatami.
Dai maestri che ci hanno seguito passo per passo, se ne abbiamo ancora.
O dagli allievi, a cui doniamo il nostro sapere con il cuore, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
La seconda è quella di non mettere più il nostro grado sulle locandine dei corsi e degli stages.
Chi vuol sapere qualcosa su di noi, leggerà ciò che scriviamo, ascolterà quello che la gente ha da dire o si farà un'idea dai nostri video.
In fin dei conti, non esistono pittori 3th dan, o attori riconosciuti col grado di Hollywood.
Esistono venditori di croste, o cani davanti alla telecamera.
Ed esistono artisti che vale la pena vedere, che sono capaci di regalare emozioni, di donare ispirazione o,almeno, riflessioni.
E,terzo, in F.It.A., abbiamo scelto di utilizzare per gli insegnanti un sistema di classificazione che non sia in riferimento al grado tecnico, ma che, semplicemente (semplicemente ?) definisca l'esperienza data dagli anni di insegnamento.
La quarta cosa è dire tutti insieme un gran "VAFFANCULO" a quelli che vogliono fare commercio del nostro sogno.
Che prendono i nostri ideali,i nostri sacrifici, i nostri sforzi e li vendono e svendono come mutande e calzini.
Che ci reputano privi di amor proprio, di dignità , di orgoglio personale solo perché ci sediamo dalla parte sbagliata del Kamiza e ci impegnamo a comportarci da allievi, fino in fondo.
Tutti insieme.
Uno,
Due,
Tre:
Raccontava in maniera così dettagliata del gusto, della corposità della carne, del profumo, dell'aroma sprigionato dallo spiedo, che vi assicuro, mi risvegliò un tremendo appetito!
Fiondatomi nella prima rosticceria a portata di mano, già con l'acquolina in bocca mi preparavo a gustare una bella coscia arrostita.
Sinceramente, più masticavo e meno riuscivo a ritrovare il gusto e l'aroma tanto decantato...
Quando, con enorme delusione pagai il conto e lasciai la sala, mi vennero in mente un paio di riflessioni.
Cosa rende gustosa la carne di un animale (non me ne vogliano i vegetariani!) e cosa, invece, rende sciapita ed insipida quella di un altro della stessa razza?
Cosa vuol dire Pollo Paesano o Ruspante?
Tutto dipende da come è stato nutrito, da come lo si è alimentato.
Lo stesso bipede, con gli stessi genitori, nutrito in maniera artificiale, con alimenti utili appena alla sopravvivenza e cresciuto ad ormoni, avrà il sapore del cartone del pane, vecchio di tre giorni.
Alimentato e cresciuto, invece, in maniera naturale, avrà il sapore che tanto entusiasmava la vecchia e che tanta acquolina richiamava nella mia bocca.
Lo so cosa avete fatto, adesso.
Avete alzato gli occhi per capire se eravate ancora su Aikido Vivo o vi eravate ritrovati, chissà come, su Pollame Oggi...
Dove voglio arrivare?
Voglio dire che un Aikidoka vale quello di cui si nutre.
I sentimenti che impara a ricercare nella sua pratica, quello che trasmette ai compagni,la maniera con cui vive nella quotidianità i suoi passi sulla Via.
Quanto contribuisce a tutto questo la figura del Maestro?
Secondo me, molto.
Credo poco a coloro che dicono di vedere nell'insegnante solo un manuale della tecnica, solo un esempio del movimento.
Sono convinto,invece, che un maestro passi molto di più ai suoi allievi: l'attitudine, la visione, la disposizione interiore nei confronti della pratica.
Un maestro che sorride, avrà allievi sorridenti, fidatevi di me.
Un maestro col volto e l'espressione alla "cazzoguardi!", avrà allievi alla cazzoguardi.
Un maestro che commercia con la propria pratica, avrà solo "clienti" che comprano pezzi della sua pratica.
"Ti pago? insegnami Ikkyo."
"Ti pago? dammi il grado!"
Oggi vanno molto di moda i gradi Aikikai.
L'idea è che un maestro riconosciuto da qualcuno a Tokyo è più valido di uno riconosciuto solo in Italia.
In un mondo ideale, il maestro in questione sarebbe andato di persona all'Hombu Dojo a farsi esaminare e si sarebbe guadagnato il grado sul campo.
In un mondo ideale...
Nella realtà basta pagare (cifre esorbitanti), e la segreteria dell'Hombu ti riconosce senza problemi.
Pure la patente, se glielo chiedi (e glielo paghi)!
Dunque chi non se lo può permettere, si accontenta di lavorare a casa sua, magari facendosi un mazzo così, per portare avanti un discorso di insegnamento non lucrativo, per non speculare sugli allievi o semplicemente perché non è interessato a pettinare il suo ego mandando in vacanza la famiglia Ueshiba.
Ma lavora sodo, sudando sette keikogi, mettendosi in discussione continuamente, crescendo bravi allievi e devolvendo il proprio budget per fare seminari ed allenarsi invece che comprare gradi internazionali.
E agli occhi della gente vale meno di chi non fa un benamato caxxo, ed indossa il keikogi solo per farsi fotografare, ma ha pagato caro e amaro perché qualcuno del Sol Levante giurasse su sua cognata di conoscerlo da sempre e certificasse il suo essere "Bravo bravo in modo assurdo".
Qualcun'altro, come il sottoscritto, ha accettato i gradi Aikikai nonostante non gli fregasse un'emerita cippa della segreteria dell'Hombu o di dimostrare qualcosa a chicche & sia.
Semplicemente ha visto nel riconoscimento internazionale arrivatogli dal suo Caposcuola, nel mio caso anche senza averlo richiesto, una testimonianza del rapporto Maestro-Allievo che andasse al di là della Associazione Nazionale presso cui si fosse tesserato ed assicurato.
Nient'altro che utopia e sogni di mezz'estate, credetemi.
Gli Shihan intascano la metà dei soldi pagati per ogni grado (parliamo di circa 1200 euro per un sesto dan).
E dunque, come la storia ha dimostrato, riconosce senza problemi chiunque gli venga detto di riconoscere, purché paghi, cash e seduta stante, fino all'ultimo centesimo.
Sfogo a parte, davvero vogliamo vivere in un mondo dove le certificazioni comprate a caro prezzo sostituiscano il valore conquistato con l'esperienza, con lo studio, con il sudore?
Davvero vogliamo dare peso a qualcuno, solo perché ha un numero scritto sul libretto, dando per buono tutte le masturbazioni mentali che ci presenta come oro colato?
Noi abbiamo deciso di smettere.
La prima cosa che faremo, sarà di non comprare più i gradi in Giappone.
Il nostro valore può essere certificato soltanto dal tatami.
Dai maestri che ci hanno seguito passo per passo, se ne abbiamo ancora.
O dagli allievi, a cui doniamo il nostro sapere con il cuore, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
La seconda è quella di non mettere più il nostro grado sulle locandine dei corsi e degli stages.
Chi vuol sapere qualcosa su di noi, leggerà ciò che scriviamo, ascolterà quello che la gente ha da dire o si farà un'idea dai nostri video.
In fin dei conti, non esistono pittori 3th dan, o attori riconosciuti col grado di Hollywood.
Esistono venditori di croste, o cani davanti alla telecamera.
Ed esistono artisti che vale la pena vedere, che sono capaci di regalare emozioni, di donare ispirazione o,almeno, riflessioni.
La quarta cosa è dire tutti insieme un gran "VAFFANCULO" a quelli che vogliono fare commercio del nostro sogno.
Che prendono i nostri ideali,i nostri sacrifici, i nostri sforzi e li vendono e svendono come mutande e calzini.
Che ci reputano privi di amor proprio, di dignità , di orgoglio personale solo perché ci sediamo dalla parte sbagliata del Kamiza e ci impegnamo a comportarci da allievi, fino in fondo.
Tutti insieme.
Uno,
Due,
Tre:
1 aprile 2012
La Spada, il pugno ed il dito nel naso.
I gruppi di aikidoka spesso non sono così diversi dagli alcolisti anonimi.
Solo che si incontrano per condividere ed alimentare frustrazioni ed onanismi mentali, piuttosto che per il sincero desiderio di uscire dal tunnel, o il sadico piacere di raccontare le proprie bevute a chi sta cercando di smettere.
Di tanto in tanto per la rete, al telefono o davanti ad una pizza, il mondo dell'Aikido subisce i corsi e ricorsi storici delle mode e tornano nel piatto come avanzi putridi e vermiscenti, sempre gli stessi argomenti discussi per anni e mai risolti.
I classici nodi, che quando vedono il pettine,invece di sciogliersi, si ingarbugliano ancora peggio...
Recentemente è tornato in voga l'argomento "Atemi", liberamente traducibile come "Cartone","Pizza", "Crocchia" o "Papagno".
Meno liberamente, si può parlare di "Colpire il corpo".
Può una persona che decide di studiare Aikido, rispondere ad un attacco con un Atemi?
Può servirsi di un colpo ben assestato per mettere la parola fine alla persecuzione di un uke troppo ossessivo?
Soprattutto, credo davvero di risolvere l'antico dilemma in qualche rigo di post????
Assolutamente no.
Come sempre, non voglio vendervi la mia verità.
Preferisco immaginare di aver stimolato un paio di riflessioni ed avervi avvicinato di qualche cm alla vostra.
Morihei parlava di Irimi ed Atemi senza differenza.
Ripeteva sovente che l'Aikido è composto dell' 80% di Colpi.
Il che decreta immediatamente quale fosse la sua idea...
La mia è che c'è bisogno di qualche chiarificazione.
L'Aikido allena innanzitutto un'attitudine mentale, che è quella del Non Ego.
L'Aikidoka non dovrebbe avere nessuna necessità di ferire l'altro gratuitamente.
La sua chiarezza mentale, il suo spirito tranquillo, l'assenza di ego vendicativo, dovrebbero fargli bastare il non essere ferito.
Quindi il controllo è basato sul dissipare ed annichilire il gesto e l'intenzione dell'attacco, non l'attaccante come uomo.
In termini pratici, l'idea è che in Aikido non si insegna ad aprire la guardia o il contatto di uke per poterlo colpire senza problemi.
Se uke tiene il contatto e mantiene la guardia, un tori "puro" non dovrebbe morire dalla voglia di spezzarlo per poter lanciare una scarica di pugni.
Ma che succede quando è uke ad aprire la sua guardia per attaccare ancora?
Come si comporta tori quando percepisce la volontà di uke di attaccarlo ancora, ma non c'è nulla tra le sue mani ed il centro dell'altro?
L'Aikido è figlio delle armi.
Come ci si comporta quando qualcuno ci attacca entrando nel nostro Ma Ai, la distanza del colpo, tenendo la spada tanto caricata da non essere in guardia?
Lo si trafigge.
O si prende contatto con la lama sul suo corpo, in modo da fargli capire che la sua vita è appesa ad un filo come quella di un colombo sordo nel motore di un aereo.
La tecnica è il risultato di due perfezioni.
Tori che chiude le aperture e si posiziona per rompere l'equilibrio di uke, ed uke che chiude le sue aperture, riprende l'equilibrio e riprova ad attaccare.
Non c'è spazio per l'errore, quando ci si allena con le lame.
Un chilo e mezzo di acciaio affilato in un braccio ha un enorme potere dissuasivo...
A mani nude, l'attitudine rimane uguale.
Se le tue cellule considerano l'errore come il fratello gemello della morte, che ci sia una spada, un coltello o un a temi ad aspettarti al varco, continuerai a muoverti sempre con la stessa attenzione, concentrazione e coi sensi a 360%.
In questa accezione, però, appare chiaro come il giorno che l'Atemi viene utilizzato per chiudere un'apertura, non per crearla.
Yamaguchi Sensei parlava di "sanzione", per capirci...
Dunque la mia risposta è si, l'Atemi in Aikido esiste, ed ha un aspetto educativo rilevante, perché non solo ci permette di coprire degli spazi che l'attaccante ha dimenticato aperti pur di attaccare, ma insegna a tori ed a uke a vedere le aperture, a non trascurare le proprie ed a cogliere al volo quelle dell'altro.
Ma non si può pensare che chiudere una mano e distenderla significhi assestare un pugno.
Se crediamo che in movimento potremmo dover utilizzare tsuki, piuttosto che yokomen o che dovremmo poter infilare un dito nel naso di uke, questi gesti vanno curati non di meno delle cadute, del tai sabaki o dei waza.
Se si accetta la loro necessità, gli si riconosce la dignità di ogni altra area.
Dunque allenarsi allo specchio, coi colpitori, coi sacchi pesanti o i makiwara diventa automaticamente parte del programma, direi...
Colpire in maniera Aiki, utilizzando il peso del corpo, le spalle basse, le braccia rilassate ed i movimenti controlaterali.
Abituarsi a farlo senza pensiero, senza cercarlo a tutti i costi e senza voler afferrare il braccio che se ne va e crea lo spazio per un attacco.
Esiste però un'altra concezione dell'Atemi.
Atemi come "Ataru".
Ataru è la pressione del centro attraverso il punto di contatto.
L'acqua, che preme costantemente contro le pareti della diga.
Preme senza pensare di farlo.
Preme adattandosi alla forma della diga stessa.
E scorre immediatamente non appena questa si apre.
Quando la pressione non arriva da uke verso tori, è tori che la genera in direzione del centro di uke, dopo aver costruito la sua struttura su un angolo vantaggioso.
Una pressione alla quale uke deve rispondere per forza respingendo, ricreando così la connessione o aprendo un varco, permettendo a tori di passare, di chiudere la sua azione sul centro e proiettare.
"Irimi".
Solo che si incontrano per condividere ed alimentare frustrazioni ed onanismi mentali, piuttosto che per il sincero desiderio di uscire dal tunnel, o il sadico piacere di raccontare le proprie bevute a chi sta cercando di smettere.
Di tanto in tanto per la rete, al telefono o davanti ad una pizza, il mondo dell'Aikido subisce i corsi e ricorsi storici delle mode e tornano nel piatto come avanzi putridi e vermiscenti, sempre gli stessi argomenti discussi per anni e mai risolti.
I classici nodi, che quando vedono il pettine,invece di sciogliersi, si ingarbugliano ancora peggio...
Recentemente è tornato in voga l'argomento "Atemi", liberamente traducibile come "Cartone","Pizza", "Crocchia" o "Papagno".
Meno liberamente, si può parlare di "Colpire il corpo".
Può una persona che decide di studiare Aikido, rispondere ad un attacco con un Atemi?
Può servirsi di un colpo ben assestato per mettere la parola fine alla persecuzione di un uke troppo ossessivo?
Soprattutto, credo davvero di risolvere l'antico dilemma in qualche rigo di post????
Assolutamente no.
Come sempre, non voglio vendervi la mia verità.
Preferisco immaginare di aver stimolato un paio di riflessioni ed avervi avvicinato di qualche cm alla vostra.
Morihei parlava di Irimi ed Atemi senza differenza.
Ripeteva sovente che l'Aikido è composto dell' 80% di Colpi.
Il che decreta immediatamente quale fosse la sua idea...
La mia è che c'è bisogno di qualche chiarificazione.
L'Aikido allena innanzitutto un'attitudine mentale, che è quella del Non Ego.
L'Aikidoka non dovrebbe avere nessuna necessità di ferire l'altro gratuitamente.
La sua chiarezza mentale, il suo spirito tranquillo, l'assenza di ego vendicativo, dovrebbero fargli bastare il non essere ferito.
Quindi il controllo è basato sul dissipare ed annichilire il gesto e l'intenzione dell'attacco, non l'attaccante come uomo.
In termini pratici, l'idea è che in Aikido non si insegna ad aprire la guardia o il contatto di uke per poterlo colpire senza problemi.
Se uke tiene il contatto e mantiene la guardia, un tori "puro" non dovrebbe morire dalla voglia di spezzarlo per poter lanciare una scarica di pugni.
Ma che succede quando è uke ad aprire la sua guardia per attaccare ancora?
Come si comporta tori quando percepisce la volontà di uke di attaccarlo ancora, ma non c'è nulla tra le sue mani ed il centro dell'altro?
L'Aikido è figlio delle armi.
Come ci si comporta quando qualcuno ci attacca entrando nel nostro Ma Ai, la distanza del colpo, tenendo la spada tanto caricata da non essere in guardia?
Lo si trafigge.
O si prende contatto con la lama sul suo corpo, in modo da fargli capire che la sua vita è appesa ad un filo come quella di un colombo sordo nel motore di un aereo.
La tecnica è il risultato di due perfezioni.
Tori che chiude le aperture e si posiziona per rompere l'equilibrio di uke, ed uke che chiude le sue aperture, riprende l'equilibrio e riprova ad attaccare.
Non c'è spazio per l'errore, quando ci si allena con le lame.
Un chilo e mezzo di acciaio affilato in un braccio ha un enorme potere dissuasivo...
A mani nude, l'attitudine rimane uguale.
Se le tue cellule considerano l'errore come il fratello gemello della morte, che ci sia una spada, un coltello o un a temi ad aspettarti al varco, continuerai a muoverti sempre con la stessa attenzione, concentrazione e coi sensi a 360%.
In questa accezione, però, appare chiaro come il giorno che l'Atemi viene utilizzato per chiudere un'apertura, non per crearla.
Yamaguchi Sensei parlava di "sanzione", per capirci...
Dunque la mia risposta è si, l'Atemi in Aikido esiste, ed ha un aspetto educativo rilevante, perché non solo ci permette di coprire degli spazi che l'attaccante ha dimenticato aperti pur di attaccare, ma insegna a tori ed a uke a vedere le aperture, a non trascurare le proprie ed a cogliere al volo quelle dell'altro.
Ma non si può pensare che chiudere una mano e distenderla significhi assestare un pugno.
Se crediamo che in movimento potremmo dover utilizzare tsuki, piuttosto che yokomen o che dovremmo poter infilare un dito nel naso di uke, questi gesti vanno curati non di meno delle cadute, del tai sabaki o dei waza.
Se si accetta la loro necessità, gli si riconosce la dignità di ogni altra area.
Dunque allenarsi allo specchio, coi colpitori, coi sacchi pesanti o i makiwara diventa automaticamente parte del programma, direi...
Colpire in maniera Aiki, utilizzando il peso del corpo, le spalle basse, le braccia rilassate ed i movimenti controlaterali.
Abituarsi a farlo senza pensiero, senza cercarlo a tutti i costi e senza voler afferrare il braccio che se ne va e crea lo spazio per un attacco.
Esiste però un'altra concezione dell'Atemi.
Atemi come "Ataru".
Ataru è la pressione del centro attraverso il punto di contatto.
L'acqua, che preme costantemente contro le pareti della diga.
Preme senza pensare di farlo.
Preme adattandosi alla forma della diga stessa.
E scorre immediatamente non appena questa si apre.
Quando la pressione non arriva da uke verso tori, è tori che la genera in direzione del centro di uke, dopo aver costruito la sua struttura su un angolo vantaggioso.
Una pressione alla quale uke deve rispondere per forza respingendo, ricreando così la connessione o aprendo un varco, permettendo a tori di passare, di chiudere la sua azione sul centro e proiettare.
"Irimi".
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