Quest'anno è stato uno di quelli che non dimenticherò mai più.
Per mille ragioni, che non ho tempo né voglia di mettermi a raccontare, adesso...
Ma una di queste è stata la nascita di questo Blog.
Questo blog è un diario personale, ma è anche una sorta di terapia, per me.
Per qualcuno di voi è un piacevole passatempo, per altri una luce nel buio del mondo dell'Aikido moderno.
Per altri ancora, un nemico da osteggiare, un satanasso per la mente dei propri allievi.
Un pensiero da estirpare....
Ma per tutti questo blog o è qualcosa di più.
E' l'epicentro di un terremoto. E' la fonte da cui sgorga un movimento che contagia, coinvolge e che non può essere fermato.
Napoli, Palermo,Roma,Granada...e da altre città italiane, francesi, spagnole, tedesche, brasiliane.....
il movimento ritorna.
Ridondante, come un pensiero che non puoi scacciare.
Che, anzi, più scacci più ti ritorna addosso.
Se oggi qualcuno mi chiedesse cos'è "Aikido Vivo", cos'è la didattica "Progress" o qual'è la politica della "Federazione Italiana Aikido", gli risponderei :
"Sei tu".
Questo è l'aikido dell'ascolto.
Questo è l'aikido che nasce DA TE e non che impari ad imitare con gli anni.
E' l'Aikido della personalità e non della spersonalizzazione.
E' l'Aikido che agisce in funzione dell'altro, e non indipendentemente da lui.
E poi gli farei vedere questo video:
Auguri a tutti.
Che il nuovo anno possa portare al mondo un po' più di voi stessi!
31 dicembre 2011
23 dicembre 2011
Aforisma natalizio
"Non importa di quante risorse disponi.
Se non sai come servirtene, non saranno mai sufficienti!"
Della serie, piuttosto che imparare la nona forma kinonagare di Sankyo da gyakuhanmi, impariamo quando e perché utilizzare la prima!^_^
Auguri di Buon Natale a tutti. Aikidoka e non.
E che il vostro Spirito Guerriero non scivoli sulla frutta secca!
21 dicembre 2011
Immagini dal tatami
Un pò di pratica in scioltezza, badando solo a connettersi col partner e lasciando che la tecnica, se di tecnica si vuole parlare, scaturisca da sola, in funzione di ciò che sta succedendo tra tori ed uke in quel preciso istante.
Aikido senza pensiero, insomma.
Poco ordinato, con ritmo incostante e molto informale.
Ma vivo, spontaneo e divertente,secondo me!
Aikido senza pensiero, insomma.
Poco ordinato, con ritmo incostante e molto informale.
Ma vivo, spontaneo e divertente,secondo me!
20 dicembre 2011
La Fortuna, Musashi ed il "Too busy"
Ok, lo ammetto. Nella vita ci vuole culo.
Cioè, ci vuole dedizione, abnegazione, fatica, sudore e bla bla bla...
Ma il culo, quello fa la differenza!
Del mio non mi lamento.
Non mi sto riferendo alla forma più o meno armonica ed alla consistenza più o meno cellulosica delle mie chiappe, questo è chiaro.
Quanto alla fortuna di aver incontrato nella mia vita dei buoni insegnanti.
Si, chiaramente parlo della buona sorte nel percorso marziale....
Lotterie e tombolate varie le lascio agli altri.
Dico "fortuna" perché c'è sempre merito nel cercare un insegnante, ma nel trovarne uno bravo ci vuole più che un pizzico di buona sorte!
"Culo", invece, è quando ne trovi più di uno.
Io ne ho trovati diversi, quindi probabilmente il mio è stato un culo supersayan.
Ed anche una ricerca capillare e senza sosta, diciamocelo!
Quando trovi un buon insegnante, dice il saggio, affidati a lui e segui i suoi insegnamenti alla lettera.
E ci sta.
Ma quando ne trovi tre o quattro incomincia il casino!
Il dato fondamentale è che nessuno di loro dice le stesse cose dell'altro.
Ed ogni volta è un ripartire da zero!
Uno ti diceva di mettere peso, l'altro diceva di restare leggeri e mobili, uno diceva di accelerare, l'altro di stare al ritmo di uke, uno diceva di restare dritti, l'altro di lasciar andare la schiena, uno diceva di marcare le azioni, l'altro di restare morbidi ed assecondare...
Una delle ultime volte, uno degli insegnanti mi corresse in maniera secca, definitiva....anche evocativa, se vogliamo.
"Il pericolo del diventare più bravi, è quello di smettere di impegnare sé stessi in tutte le azioni. Se il tuo compagno non ti fa sforzare a rimanere nella forma, sforzati da solo. Tieni ferma la struttura, metti forza nelle posizioni ed usa sempre ogni parte del tuo corpo in tutto quello che fai!"
Volete la verità? Per me fu cassazione!
Per anni non mi sono mai sognato di mettere in dubbio queste parole!
Per anni la mia mente faceva check up costantemente dal dito del piede alla punta dei capelli in ogni taisabaki!
Poi un giorno, durante un allenamento in Jyu waza, proprio in un momento in cui mi pareva di aver azzeccato la tecnica della mia vita, un altro maestro mi guardò e disse "Too Busy!"
Credetemi se vi dico che mi salì il sangue alla testa!
"Come tu bisi????????"
"Too busy, You are too engaged in your actions, so you cannot be free!"
("Troppo occupato. sei troppo preso dalle tue azioni, per questo non puoi essere libero!")
Voglio essere sincero con voi.
In quel momento non presi subito la correzione per buona.
La chiusi in un cassetto e decisi di pensarci con calma, studiando attentamente cosa volesse dire, cosa dovevo rivedere e a cosa mi avrebbe portato.
Ingaggiarsi o liberarsi?
Mettere attenzione a tutto o togliere attenzione e percepire?
Mantenere tutto in movimento o muovere quello che serve?
Per un po' è stato un dilemma.
Poi un giorno mi è capitato fra le mani un libro.
Sulla copertina c'era un dipinto di un antico samurai.
Il titolo era "Gorin no Sho".
Ora, se non sapete chi sia Myamoto Musashi siete pregati di indossare le orecchie d'asino ed aspettare dietro la lavagna.
Tutti gli altri, non hanno bisogno di sentirsi raccontare che stiamo parlando del più famoso ronin di tutto il Giappone, lo spadaccino autodidatta che si è formato allenandosi da solo, in mezzo alle montagne, e che ha combattuto e vinto un numero spropositato di duelli con spadaccini blasonati.
Musashi era un cocktail di esperienza e furbizia.
Le sue competenze erano il frutto di una vita dedicata alla sopravvivenza, ignorando quasi del tutto tradizioni ed etichette e concentrandosi unicamente sulla vittoria.
Il suo percorso lo portò dal grado di "belva addestrata a sopravvivere" a "artista che celebra la vita".
In tarda età non rinunciò mai a combattere se sfidato, riuscendo ad annichilire gli avversari senza ferirli, chiudendo loro ogni possibilità di attacco.
Del Gorin no Sho, il suo testamento sulla strategia del combattimento, quasi tutto è allegorico ed incomprensibile.
Tra le poche cose intellegibili, c'è un brano sulle varie tipologie di guerriero.
Il livello più basso è - dice Musashi - quello del guerriero che fa ricorso ad ogni espediente per vincere.
Forza,tecnica,strategia,armi, mente e razionalità.
Tutto partecipa fermamente alla battaglia ed il resto smette di esistere.
Il livello più alto è quello in cui il guerriero sembra inoffensivo.
Il suo aspetto è distaccato e rilassato ed in battaglia sembra partecipare all'azione ma disinteressatamente.
Toccando la sua spada, non si avverte forza, ma al contrario, scioltezza e mobilità.
Distaccato.
Disimpegnato.
Sciolto e dinamico.
Una questione di livelli....
Cioè, ci vuole dedizione, abnegazione, fatica, sudore e bla bla bla...
Ma il culo, quello fa la differenza!
Del mio non mi lamento.
Non mi sto riferendo alla forma più o meno armonica ed alla consistenza più o meno cellulosica delle mie chiappe, questo è chiaro.
Quanto alla fortuna di aver incontrato nella mia vita dei buoni insegnanti.
Si, chiaramente parlo della buona sorte nel percorso marziale....
Lotterie e tombolate varie le lascio agli altri.
Dico "fortuna" perché c'è sempre merito nel cercare un insegnante, ma nel trovarne uno bravo ci vuole più che un pizzico di buona sorte!
"Culo", invece, è quando ne trovi più di uno.
Io ne ho trovati diversi, quindi probabilmente il mio è stato un culo supersayan.
Ed anche una ricerca capillare e senza sosta, diciamocelo!
Quando trovi un buon insegnante, dice il saggio, affidati a lui e segui i suoi insegnamenti alla lettera.
E ci sta.
Ma quando ne trovi tre o quattro incomincia il casino!
Il dato fondamentale è che nessuno di loro dice le stesse cose dell'altro.
Ed ogni volta è un ripartire da zero!
Uno ti diceva di mettere peso, l'altro diceva di restare leggeri e mobili, uno diceva di accelerare, l'altro di stare al ritmo di uke, uno diceva di restare dritti, l'altro di lasciar andare la schiena, uno diceva di marcare le azioni, l'altro di restare morbidi ed assecondare...
Una delle ultime volte, uno degli insegnanti mi corresse in maniera secca, definitiva....anche evocativa, se vogliamo.
"Il pericolo del diventare più bravi, è quello di smettere di impegnare sé stessi in tutte le azioni. Se il tuo compagno non ti fa sforzare a rimanere nella forma, sforzati da solo. Tieni ferma la struttura, metti forza nelle posizioni ed usa sempre ogni parte del tuo corpo in tutto quello che fai!"
Volete la verità? Per me fu cassazione!
Per anni non mi sono mai sognato di mettere in dubbio queste parole!
Per anni la mia mente faceva check up costantemente dal dito del piede alla punta dei capelli in ogni taisabaki!
Poi un giorno, durante un allenamento in Jyu waza, proprio in un momento in cui mi pareva di aver azzeccato la tecnica della mia vita, un altro maestro mi guardò e disse "Too Busy!"
Credetemi se vi dico che mi salì il sangue alla testa!
"Come tu bisi????????"
"Too busy, You are too engaged in your actions, so you cannot be free!"
("Troppo occupato. sei troppo preso dalle tue azioni, per questo non puoi essere libero!")
Voglio essere sincero con voi.
In quel momento non presi subito la correzione per buona.
La chiusi in un cassetto e decisi di pensarci con calma, studiando attentamente cosa volesse dire, cosa dovevo rivedere e a cosa mi avrebbe portato.
Ingaggiarsi o liberarsi?
Mettere attenzione a tutto o togliere attenzione e percepire?
Mantenere tutto in movimento o muovere quello che serve?
Per un po' è stato un dilemma.
Poi un giorno mi è capitato fra le mani un libro.
Sulla copertina c'era un dipinto di un antico samurai.
Il titolo era "Gorin no Sho".
Ora, se non sapete chi sia Myamoto Musashi siete pregati di indossare le orecchie d'asino ed aspettare dietro la lavagna.
Tutti gli altri, non hanno bisogno di sentirsi raccontare che stiamo parlando del più famoso ronin di tutto il Giappone, lo spadaccino autodidatta che si è formato allenandosi da solo, in mezzo alle montagne, e che ha combattuto e vinto un numero spropositato di duelli con spadaccini blasonati.
Musashi era un cocktail di esperienza e furbizia.
Le sue competenze erano il frutto di una vita dedicata alla sopravvivenza, ignorando quasi del tutto tradizioni ed etichette e concentrandosi unicamente sulla vittoria.
Il suo percorso lo portò dal grado di "belva addestrata a sopravvivere" a "artista che celebra la vita".
In tarda età non rinunciò mai a combattere se sfidato, riuscendo ad annichilire gli avversari senza ferirli, chiudendo loro ogni possibilità di attacco.
Del Gorin no Sho, il suo testamento sulla strategia del combattimento, quasi tutto è allegorico ed incomprensibile.
Tra le poche cose intellegibili, c'è un brano sulle varie tipologie di guerriero.
Il livello più basso è - dice Musashi - quello del guerriero che fa ricorso ad ogni espediente per vincere.
Forza,tecnica,strategia,armi, mente e razionalità.
Tutto partecipa fermamente alla battaglia ed il resto smette di esistere.
Il livello più alto è quello in cui il guerriero sembra inoffensivo.
Il suo aspetto è distaccato e rilassato ed in battaglia sembra partecipare all'azione ma disinteressatamente.
Toccando la sua spada, non si avverte forza, ma al contrario, scioltezza e mobilità.
Distaccato.
Disimpegnato.
Sciolto e dinamico.
Una questione di livelli....
16 dicembre 2011
Consigli per Natale
In tempi di regali, è d'uopo domandarsi se non vale la pena mettere sotto l'albero un pacchetto per il samurai che è in noi.
In questi giorni TOZANDO sta scontando molti dei suoi pezzi più cari.
I prezzi restano cari comunque, ma molto meno rispetto al listino.
Inoltre ordinando prima del 4 gennaio si partecipa automaticamente all'estrazione di un viaggio in Giappone.
E scusate se è poco!
Molto più abbordabile,invece, AIKIDO TWENTYFOUR, che ha roba simpatica e a prezzi convenientissimi.
Economica e veloce anche la loro spesa di spedizione....
Che a volte incide non poco sull'acquisto.
Bye gente, e non dimenticate il vostro KI nel Panettone!
In questi giorni TOZANDO sta scontando molti dei suoi pezzi più cari.
I prezzi restano cari comunque, ma molto meno rispetto al listino.
Inoltre ordinando prima del 4 gennaio si partecipa automaticamente all'estrazione di un viaggio in Giappone.
E scusate se è poco!
Molto più abbordabile,invece, AIKIDO TWENTYFOUR, che ha roba simpatica e a prezzi convenientissimi.
Economica e veloce anche la loro spesa di spedizione....
Che a volte incide non poco sull'acquisto.
Bye gente, e non dimenticate il vostro KI nel Panettone!
14 dicembre 2011
11 dicembre 2011
Lo stage, la sincerità e la buccia di banana
Come alcuni sanno e molti ignorano, recentemente ho partecipato ad uno stage a Granada con Endo Sensei.
Normalmente non amo troppo parlare delle esperienze post stage, perché trovo siano soggettive tanto quanto la visione di un film o di un quadro d'autore.
Qualcuno lo reputa un capolavoro,lo rivede 5 volte o batte all'asta assegni a 4 zeri per averlo sul caminetto,
qualcun altro lo trova un insulso spreco di tela o cellulosa.
Però questa volta strappo la regola e ve ne parlo.
E non per dirvi quanto sia valsa la pena fare 8 ore di volo e 16 di aeroporto, no.
Piuttosto per dirvi PERCHE' ne è valsa la pena!
Prima che lo diciate, NO, non sono un dannato sadico che vuole a tutti i costi farvi morire di invidia.
Mi piacerebbe esaminare,semplicemente, i motivi grazie ai quali, secondo me, un raduno funziona bene anzicchenò.
SINCERITA'.
Il maestro Pinco Pallino insegna un Aikido fatto di bucce di banana.
Ad ogni attacco di uke, lui lancia la sua buccia di banana proprio sotto i piedi dell'altro, in modo da farlo ruzzolare sul tatami.
Ci sono mille altri modi di atterrare uke.
Io li conosco e li preferisco.
Li conosce anche Pinco Pallino.
Solo che lui preferisce le banane.
Sono libero di andare al seminario di Pinco Pallino? Si.
Ma se ci vado devo portarmi le banane e rispettare il criterio scelto da lui.
Punto.
Altrimenti vivo lo stesso, e vivo pure meglio, se non ci vado.
Non solo!
Vivono molto meglio quelli che invece aspettano tutto l'anno di lanciare banane per il tatami.
Sul tatami di Granada eravamo circa 150 persone.
Tutti volevano fare quella pratica.
Non ce n'è stato uno che ha cercato soluzioni al di fuori del campo di ricerca scelto dall'insegnante.
Nessuno che, per esempio, abbia scelto di far male al compagno, perché gli sembrava più efficace....
Questo permette di studiare e di portare appresso delle idee, senza dover passare il tempo a dimostrare ad uke la validità di un metodo, finendo inesorabilmente dopo due giorni a scegliersi i compagni con cui si lavora meglio.
DEDIZIONE.
Quando investo tempo e denaro in uno stage, lo faccio perché voglio allenarmi.
Non voglio parlottare, non voglio fare l'assistente insegnante, scegliendo di praticare solo coi beginners ed imponendo loro la mia visione, non voglio mimare l'allenamento per non sporcare i keikogi.
Voglio praticare con quante più persone è possibile, chiedo una razione abbondante di acido lattico ed occhiaie al calare delle tenebre.
E possibilmente voglio condire il tutto con una bella spruzzata di divertimento.
In questo stage c'è stato uno spreco assoluto di sudore e sorrisi.
Pratica a gogo, con un ritmo così elevato che ricordava i tamburi del Kodo e sorrisi di piacere e gratitudine verso chi ti permetteva di allenarti in questo modo.
Nessuno sprazzo di ego.
Nessuno che ha punito nessun altro per averlo stancato.
Nessuno che ha cercato di bloccare l'azione del partner perchè si sentiva stanco.
Nessuno sguardo rabbioso alla fine della sessione di allenamento.
INTEGRITA'.
Questo punto dovrebbe essere un distintivo della disciplina.
Un Aikido che ha come fine la lesione dell'altro non è Aikido. Punto.
Ma uno stage di 5 giorni dove nessuno si fa male e dove nessuno cerca di farti male anche quando non gli riesce il movimento,è una cosa più unica che rara.
Eppure c'era una commistione di stili, nazioni,elementi e gradi molto eterogenea....
Mi fa pensare molto questa cosa....
GRUPPO.
Per me l'Aikido è fatto per unire.
Una pratica che nasce e muore sul tatami è una pratica fine a sé stessa e per lo più inutile.
Anzi, direi quasi fallimentare.
Un gruppo che lavora insieme per 5 giorni, due volte al giorno, fa Aikido se comincia a cercarsi anche fuori dalla pratica, se sceglie di condividere i momenti di allenamento COME quelli di riposo, se si confronta sul movimento e sulle sensazioni che quel movimento ha lasciato dentro di ognuno.
Questo ho visto a Granada.
Ho visto gente arrivare da sola ed uscire in gruppo dal dojo.
Ho visto smarrimento trasformarsi in sorriso.
Ho visto abbracci alla fine delle lezioni.
FAMIGLIA.
Questo è un punto a parte.
Questo riguarda me e basta.
Luis, Elena, i due Rafael, Nieves,Ana, Kike,Wakana, Antonio, Guglielmo e tutti gli altri...
Mi hanno accolto come se fossi uno di loro.
Completamente, senza nessuna riserva.
NESSUNA.
Ed io mi sono sentito parte del Musubi e del loro clan, come se lo fossi sempre stato.
Sento di avere una famiglia, in Granada.
Sento che loro hanno una famiglia a Napoli.
E sento che se uno solo di noi avesse bisogno degli altri, la distanza diventerebbe in un istante microscopica.
Normalmente non amo troppo parlare delle esperienze post stage, perché trovo siano soggettive tanto quanto la visione di un film o di un quadro d'autore.
Qualcuno lo reputa un capolavoro,lo rivede 5 volte o batte all'asta assegni a 4 zeri per averlo sul caminetto,
qualcun altro lo trova un insulso spreco di tela o cellulosa.
Però questa volta strappo la regola e ve ne parlo.
E non per dirvi quanto sia valsa la pena fare 8 ore di volo e 16 di aeroporto, no.
Piuttosto per dirvi PERCHE' ne è valsa la pena!
Prima che lo diciate, NO, non sono un dannato sadico che vuole a tutti i costi farvi morire di invidia.
Mi piacerebbe esaminare,semplicemente, i motivi grazie ai quali, secondo me, un raduno funziona bene anzicchenò.
SINCERITA'.
Il maestro Pinco Pallino insegna un Aikido fatto di bucce di banana.
Ad ogni attacco di uke, lui lancia la sua buccia di banana proprio sotto i piedi dell'altro, in modo da farlo ruzzolare sul tatami.
Ci sono mille altri modi di atterrare uke.
Io li conosco e li preferisco.
Li conosce anche Pinco Pallino.
Solo che lui preferisce le banane.
Sono libero di andare al seminario di Pinco Pallino? Si.
Ma se ci vado devo portarmi le banane e rispettare il criterio scelto da lui.
Punto.
Altrimenti vivo lo stesso, e vivo pure meglio, se non ci vado.
Non solo!
Vivono molto meglio quelli che invece aspettano tutto l'anno di lanciare banane per il tatami.
Sul tatami di Granada eravamo circa 150 persone.
Tutti volevano fare quella pratica.
Non ce n'è stato uno che ha cercato soluzioni al di fuori del campo di ricerca scelto dall'insegnante.
Nessuno che, per esempio, abbia scelto di far male al compagno, perché gli sembrava più efficace....
Questo permette di studiare e di portare appresso delle idee, senza dover passare il tempo a dimostrare ad uke la validità di un metodo, finendo inesorabilmente dopo due giorni a scegliersi i compagni con cui si lavora meglio.
DEDIZIONE.
Quando investo tempo e denaro in uno stage, lo faccio perché voglio allenarmi.
Non voglio parlottare, non voglio fare l'assistente insegnante, scegliendo di praticare solo coi beginners ed imponendo loro la mia visione, non voglio mimare l'allenamento per non sporcare i keikogi.
Voglio praticare con quante più persone è possibile, chiedo una razione abbondante di acido lattico ed occhiaie al calare delle tenebre.
E possibilmente voglio condire il tutto con una bella spruzzata di divertimento.
In questo stage c'è stato uno spreco assoluto di sudore e sorrisi.
Pratica a gogo, con un ritmo così elevato che ricordava i tamburi del Kodo e sorrisi di piacere e gratitudine verso chi ti permetteva di allenarti in questo modo.
Nessuno sprazzo di ego.
Nessuno che ha punito nessun altro per averlo stancato.
Nessuno che ha cercato di bloccare l'azione del partner perchè si sentiva stanco.
Nessuno sguardo rabbioso alla fine della sessione di allenamento.
INTEGRITA'.
Questo punto dovrebbe essere un distintivo della disciplina.
Un Aikido che ha come fine la lesione dell'altro non è Aikido. Punto.
Ma uno stage di 5 giorni dove nessuno si fa male e dove nessuno cerca di farti male anche quando non gli riesce il movimento,è una cosa più unica che rara.
Eppure c'era una commistione di stili, nazioni,elementi e gradi molto eterogenea....
Mi fa pensare molto questa cosa....
GRUPPO.
Per me l'Aikido è fatto per unire.
Una pratica che nasce e muore sul tatami è una pratica fine a sé stessa e per lo più inutile.
Anzi, direi quasi fallimentare.
Un gruppo che lavora insieme per 5 giorni, due volte al giorno, fa Aikido se comincia a cercarsi anche fuori dalla pratica, se sceglie di condividere i momenti di allenamento COME quelli di riposo, se si confronta sul movimento e sulle sensazioni che quel movimento ha lasciato dentro di ognuno.
Questo ho visto a Granada.
Ho visto gente arrivare da sola ed uscire in gruppo dal dojo.
Ho visto smarrimento trasformarsi in sorriso.
Ho visto abbracci alla fine delle lezioni.
FAMIGLIA.
Questo è un punto a parte.
Questo riguarda me e basta.
Luis, Elena, i due Rafael, Nieves,Ana, Kike,Wakana, Antonio, Guglielmo e tutti gli altri...
Mi hanno accolto come se fossi uno di loro.
Completamente, senza nessuna riserva.
NESSUNA.
Ed io mi sono sentito parte del Musubi e del loro clan, come se lo fossi sempre stato.
Sento di avere una famiglia, in Granada.
Sento che loro hanno una famiglia a Napoli.
E sento che se uno solo di noi avesse bisogno degli altri, la distanza diventerebbe in un istante microscopica.
18 novembre 2011
Il Maestro, l'Istruttore ed il Parcheggiatore in piazza
Un proverbio giappano recita: "Tre anni spesi a cercare un buon maestro , non sono tre anni buttati!"
Più cresco più ne sono convinto.
Un amico dice molto più cinicamente, che ognuno ha il maestro che si merita.
Per citare un altro detto nipponico "Quando l'allievo è pronto, il maestro arriva".
Vuol dire,secondo me, che non dobbiamo mai smettere di controllare il nostro livello di maturità, e cercare continuamente un maestro che possa darci degli spunti.
Anche dopo 20 anni.
Anche dopo il 5th dan.
Eppure scendi di casa e trovi corsi di aikido dappertutto.
Ieri ho scoperto che il mio postino è "Sensei di Aikidò" (parole sue) e che il parcheggiatore abusivo in piazza "Fa l'AKIDO!"(senza "i"), sempre parole sue.
Contenti loro, contenti tutti.
Mi ricorda un po' il fenomeno di tutti quelli che si sentono registi solo perché sanno applicare una transizione con Movie Maker.
Mi chiedo,allora, ma se è pieno di gente che insegna a destra e a manca,dove sono quelli che si allenano?
Perché questa disciplina è relativamente poco diffusa nel nostro Paese?
Il fatto è che l'Aikido è pieno di istruttori e scarseggiano i maestri.
La maggior parte degli insegnanti tende ad "impartire istruzioni" sul da farsi.
"Io fare Ikkyo. Io insegnare te come io fare."
Livello di pensiero 1.0, stile "Io Tarzan tu Jane!".
Questo li fa sentire "i Capi" della situazione.
"Tu devi fare così e poi cosà!"
In pochi badano a "formare" e non soltanto ad "istruire".
L'istruttore da soluzioni a problemi che non conosciamo.
Il maestro ci pone problemi di cui non conosciamo le soluzioni.
Ci mette in difficoltà e ci obbliga a trovare delle risposte.
Ci fa lavorare, attivamente, sul nostro processo di cambiamento.
Non si preoccupa del nostro ego risparmiandoci fallimenti.
Lui non vuole che noi facciamo giusto.
Vuole che noi facciamo esperienza!
Cosa fate quando comprate un cellulare nuovo?
Leggete bene il libretto di istruzioni prima di accenderlo, o lo accendete e provate?
E quando aprite il libretto di istruzioni per quella funzione che proprio non trovavate, sapete già come muovervi e cosa cercare.
Conoscete il valore dell'informazione che state ricevendo.
E tra voi ed il telefono non c'è il libretto come intermediario.
Perché allora dobbiamo sempre avere un intermediario tra noi ed il nostro aikido?
Perché un insegnante vuole essere costantemente protagonista del percorso di un allievo?
Per pettinare ancora un po' il suo Ego.
Ma un vero Maestro non vuole essere adorato ed ossequiato.
Indica la Via, ci segue nel percorso lasciandoci cadere, ovviamente attento a non farci ferire troppo, e ci incita a sollevarci con le nostre stesse gambe.
Per quanto acido lattico ci sia nelle cosce e per quanto sbucciate siano le ginocchia, trova sempre il modo di risvegliare in noi la forza di continuare.
Più cresco più ne sono convinto.
Un amico dice molto più cinicamente, che ognuno ha il maestro che si merita.
Per citare un altro detto nipponico "Quando l'allievo è pronto, il maestro arriva".
Vuol dire,secondo me, che non dobbiamo mai smettere di controllare il nostro livello di maturità, e cercare continuamente un maestro che possa darci degli spunti.
Anche dopo 20 anni.
Anche dopo il 5th dan.
Eppure scendi di casa e trovi corsi di aikido dappertutto.
Ieri ho scoperto che il mio postino è "Sensei di Aikidò" (parole sue) e che il parcheggiatore abusivo in piazza "Fa l'AKIDO!"(senza "i"), sempre parole sue.
Contenti loro, contenti tutti.
Mi ricorda un po' il fenomeno di tutti quelli che si sentono registi solo perché sanno applicare una transizione con Movie Maker.
Mi chiedo,allora, ma se è pieno di gente che insegna a destra e a manca,dove sono quelli che si allenano?
Perché questa disciplina è relativamente poco diffusa nel nostro Paese?
Il fatto è che l'Aikido è pieno di istruttori e scarseggiano i maestri.
La maggior parte degli insegnanti tende ad "impartire istruzioni" sul da farsi.
"Io fare Ikkyo. Io insegnare te come io fare."
Livello di pensiero 1.0, stile "Io Tarzan tu Jane!".
Questo li fa sentire "i Capi" della situazione.
"Tu devi fare così e poi cosà!"
In pochi badano a "formare" e non soltanto ad "istruire".
L'istruttore da soluzioni a problemi che non conosciamo.
Il maestro ci pone problemi di cui non conosciamo le soluzioni.
Ci mette in difficoltà e ci obbliga a trovare delle risposte.
Ci fa lavorare, attivamente, sul nostro processo di cambiamento.
Non si preoccupa del nostro ego risparmiandoci fallimenti.
Lui non vuole che noi facciamo giusto.
Vuole che noi facciamo esperienza!
Cosa fate quando comprate un cellulare nuovo?
Leggete bene il libretto di istruzioni prima di accenderlo, o lo accendete e provate?
E quando aprite il libretto di istruzioni per quella funzione che proprio non trovavate, sapete già come muovervi e cosa cercare.
Conoscete il valore dell'informazione che state ricevendo.
E tra voi ed il telefono non c'è il libretto come intermediario.
Perché allora dobbiamo sempre avere un intermediario tra noi ed il nostro aikido?
Perché un insegnante vuole essere costantemente protagonista del percorso di un allievo?
Per pettinare ancora un po' il suo Ego.
Ma un vero Maestro non vuole essere adorato ed ossequiato.
Indica la Via, ci segue nel percorso lasciandoci cadere, ovviamente attento a non farci ferire troppo, e ci incita a sollevarci con le nostre stesse gambe.
Per quanto acido lattico ci sia nelle cosce e per quanto sbucciate siano le ginocchia, trova sempre il modo di risvegliare in noi la forza di continuare.
13 novembre 2011
Morihei, l'Irimitenkan ed il cappello di Indiana Jones
La prima cosa che si impara salendo su un tatami di Aikido, è notoriamente l'irimitenkan.
Ripetuto centinaia di volte.
E' uno di quei must che non puoi non avere.
Grossomodo come fare l'esame di anatomia a medicina, assaggiare il gelato fritto al ristorante cinese, capitare casualmente su un sito XXX cazzeggiando per la rete...
Accompagnato da tante bellissime didascalie, quali "l'Aikido è circolare!", "La sfera dinamica!" o ancora più pittorescamente, "Sparire e riapparire alle spalle dell'avversario!".
Per anni quindi, ci alleniamo nel perfezionare questo taisabaki, controllandone la simmetria, disegnando alla perfezione l'arco di 180 gradi, bilanciando costantemente la distribuzione dei pesi, forzando al massimo l'irimi per restare perfettamente in linea con l'attacco, e abbinando al tutto la corretta respirazione.
Qundo finalmente ci sentiamo cintura nera di irimitenkan, con un allenamento alle spalle tale da poter ruotare alla perfezione anche ad occhi chiusi, saliamo sul tatami on una freccia sempre incoccata al nostro arco.
Al primo che ci saluta, rispondiamo con un irimitenkan degno di una ballerina professionista!
Mi ricordo che per molto tempo ho considerato l'allenamento di I.T. in solitaria come il succo stesso della pratica dell'Aikido.
Ore ed ore passate a consumare piedi, ginocchia e tappeti di casa mia.
Un giorno, poi, il delitto supremo.
Leggendo un libro su O Sensei, mi capitò una frase nella quale si diceva che lui praticava O irimi, O tenkan, ma mai irimitenkan di seguito.
C'era scritto che questo taisabaki era stato introdotto a scopo formativo da suo figlio, e che molti dei suoi allievi lo avevano adottato come propedeutico di base.
Devo dire che se gli occhi non mi caddero sulla carta in quel frangente, difficilmente mi potranno cadere in futuro!
Non ho bisogno di raccontarvi che presi tutte e 25 videocassette su Morihei dalla nostra libreria e passai varie ore a spulciarle per ritrovare un Irimitenkan completo.
Niente. Nisba. Niet.Zero.
Così passai un lungo periodo della mia vita alla ricerca dell'Irimitenkan perduto.
Cappello e frusta a parte, ero una sorta di Indiana Jones dell'Aikido!
Cosa è venuto fuori?
Che effettivamente in azione è impossibile agire con un irimitenkan puro.
L'irimi sulla linea tiene tori esposto all'attacco per troppo tempo.
E non crea nessuno spazio entro cui portare uke in disequilibrio durante la rotazione.
E il tenkan completo, passa attraverso una serie di shikoku (angoli morti), senza utilizzarli, per terminare in linea col compagno, nell'unica posizione in cui anche uke rispetto a tori è in shikoku.
Guardando quei maestri che non hanno utilizzato l'irimitenkan come pilastro, essi si servono di un taisabaki simile in apparenza, ma molto molto differente in pratica.
Se fanno solo Irimi, è un movimento profondo e tagliente.
Se fanno solo tenkan, spostano l'uke nel punto in cui essi si trovavano prima di muoversi.
Quando però sembra che abbinino entrambi i movimenti, in realtà non fanno i rimi, ma semplicemente scambiano le gambe uscendo un minimo dalla linea dell'attacco.
Quando poi ruotano, si muovono sempre su mezze rotazioni, mai su piroette complete.
Sono vari anni che utilizzo questo sistema di movimento al posto del classico IT.
Trovo che le possibilità che esso offra nel creare instabilità nell'attaccante, e nel chiudere ogni apertura, siano praticamente infinite.
Me lo conferma,solitamente, la faccia del mio uke quando entriamo in connessione su yokomenuchi,per esempio...
E stressa molto meno i legamenti del ginocchio.
Ma il punto non è quanto sono bravi i maestroni, o quanto un movimento è migliore di un altro.
Piuttosto, quanto sia importante mettere in discussione anche ciò che è nelle premesse della pratica, per trovare soluzioni innovative, fisiologicamente migliori, più efficienti e naturali.
E per aprire nuovi orizzonti ad una disciplina che vive troppo spesso, diciamocelo, di luoghi comuni ed intoccabili preconcetti.
Ripetuto centinaia di volte.
E' uno di quei must che non puoi non avere.
Grossomodo come fare l'esame di anatomia a medicina, assaggiare il gelato fritto al ristorante cinese, capitare casualmente su un sito XXX cazzeggiando per la rete...
Accompagnato da tante bellissime didascalie, quali "l'Aikido è circolare!", "La sfera dinamica!" o ancora più pittorescamente, "Sparire e riapparire alle spalle dell'avversario!".
Per anni quindi, ci alleniamo nel perfezionare questo taisabaki, controllandone la simmetria, disegnando alla perfezione l'arco di 180 gradi, bilanciando costantemente la distribuzione dei pesi, forzando al massimo l'irimi per restare perfettamente in linea con l'attacco, e abbinando al tutto la corretta respirazione.
Qundo finalmente ci sentiamo cintura nera di irimitenkan, con un allenamento alle spalle tale da poter ruotare alla perfezione anche ad occhi chiusi, saliamo sul tatami on una freccia sempre incoccata al nostro arco.
Al primo che ci saluta, rispondiamo con un irimitenkan degno di una ballerina professionista!
Mi ricordo che per molto tempo ho considerato l'allenamento di I.T. in solitaria come il succo stesso della pratica dell'Aikido.
Ore ed ore passate a consumare piedi, ginocchia e tappeti di casa mia.
Un giorno, poi, il delitto supremo.
Leggendo un libro su O Sensei, mi capitò una frase nella quale si diceva che lui praticava O irimi, O tenkan, ma mai irimitenkan di seguito.
C'era scritto che questo taisabaki era stato introdotto a scopo formativo da suo figlio, e che molti dei suoi allievi lo avevano adottato come propedeutico di base.
Devo dire che se gli occhi non mi caddero sulla carta in quel frangente, difficilmente mi potranno cadere in futuro!
Non ho bisogno di raccontarvi che presi tutte e 25 videocassette su Morihei dalla nostra libreria e passai varie ore a spulciarle per ritrovare un Irimitenkan completo.
Niente. Nisba. Niet.Zero.
Così passai un lungo periodo della mia vita alla ricerca dell'Irimitenkan perduto.
Cappello e frusta a parte, ero una sorta di Indiana Jones dell'Aikido!
Cosa è venuto fuori?
Che effettivamente in azione è impossibile agire con un irimitenkan puro.
L'irimi sulla linea tiene tori esposto all'attacco per troppo tempo.
E non crea nessuno spazio entro cui portare uke in disequilibrio durante la rotazione.
E il tenkan completo, passa attraverso una serie di shikoku (angoli morti), senza utilizzarli, per terminare in linea col compagno, nell'unica posizione in cui anche uke rispetto a tori è in shikoku.
Guardando quei maestri che non hanno utilizzato l'irimitenkan come pilastro, essi si servono di un taisabaki simile in apparenza, ma molto molto differente in pratica.
Se fanno solo Irimi, è un movimento profondo e tagliente.
Se fanno solo tenkan, spostano l'uke nel punto in cui essi si trovavano prima di muoversi.
Quando però sembra che abbinino entrambi i movimenti, in realtà non fanno i rimi, ma semplicemente scambiano le gambe uscendo un minimo dalla linea dell'attacco.
Quando poi ruotano, si muovono sempre su mezze rotazioni, mai su piroette complete.
Sono vari anni che utilizzo questo sistema di movimento al posto del classico IT.
Trovo che le possibilità che esso offra nel creare instabilità nell'attaccante, e nel chiudere ogni apertura, siano praticamente infinite.
Me lo conferma,solitamente, la faccia del mio uke quando entriamo in connessione su yokomenuchi,per esempio...
E stressa molto meno i legamenti del ginocchio.
Ma il punto non è quanto sono bravi i maestroni, o quanto un movimento è migliore di un altro.
Piuttosto, quanto sia importante mettere in discussione anche ciò che è nelle premesse della pratica, per trovare soluzioni innovative, fisiologicamente migliori, più efficienti e naturali.
E per aprire nuovi orizzonti ad una disciplina che vive troppo spesso, diciamocelo, di luoghi comuni ed intoccabili preconcetti.
9 novembre 2011
Improvvisare la libertà
Prendi un tizio.
Ma mica uno qualsiasi!
Uno proprio GIAPPONESE originale.
E gli fai fare Aikido all' Aikikai.
Vabbè..diciamo che gli fai fare un sacco di volte IkkyoNikkyoSankyo & Co.
Ma un SACCO di volte.
Finchè non le impara bene.
Ma talmente bene che gli affidano l'incarico di direttore didattico di una nazione intera!
La Tailandia, per l'esattezza.
E passano gli anni.
Ma mica due o tre?
30, 35!
Tanto che gli vengono i capelli bianchi del maestro e gli viene dato l'ottavo dan.
OTTAVO!
Ed il titolo di Shihan.
SHIHAN!
Ad una certa età e con un certo grado, con un bagaglio di esperienze alle spalle ed una nazione intera che ti invita a fare stages, ti senti pure un po' bravino,no?
E cerchi di esprimenti attraverso un aikido che non sia più sempre e soltanto coreografato, vi pare?
Si, esattamente.
Provi ad esprimere un Aikido Vivo.
Per l'appunto..PROVI!
Nel senso che se non ci hai lavorato in maniera specifica, se proprio durante un importantissimo embukai, improvvisi un Aikido Vivo su due piedi, per quatto tu possa essere graduato ed incensato, non hai che una sola possibilità: fare una figura di cacchissima.
Senza offesa per la cacca, che a modo suo, pure ha un'utilità....
La libertà non arriva per grazia e virtù dello spirito santo.
Non basta praticare lo schema perché un giorno, MAGICAMENTE, il nostro corpo si muova da solo in maniera adattiva.
E' uno studio che entra nello schema, lo frantuma fino a ricavarne i principi più profondi e lo ricostruisce a propria immagine e somiglianza, in funzione della necessità.
Richiede anni di sperimentazione,competenza specifica, richiede, soprattutto, di mettersi in gioco continuamente.
Ecco a voi un modello vivente di come un aikido schematizzato praticato in maniera assoluta, per decenni, possa entrare in tilt nel momento in cui non c'è un canovaccio con il proprio uke.
Nonostante il grado.
Nonostante l'esperienza.
Nonostante l'incarico.
Sapete cosa mi fa una tristezza INAUDITA?
Il fatto che i commenti su youtube parlino di "pessimi uke", che "opponevano resistenza al maestro" e si "comportavano in maniera davvero maleducata!"
Questo è indottrinamento, è non voler vedere e non ammettere che questa dimostrazione non è solo brutta e malriuscita.
E' patetica.
In tutti i sensi.
Ed è una mortificazione per chiunque creda che nell'aikido debba esserci un minimo di serietà.
Ma mica uno qualsiasi!
Uno proprio GIAPPONESE originale.
E gli fai fare Aikido all' Aikikai.
Vabbè..diciamo che gli fai fare un sacco di volte IkkyoNikkyoSankyo & Co.
Ma un SACCO di volte.
Finchè non le impara bene.
Ma talmente bene che gli affidano l'incarico di direttore didattico di una nazione intera!
La Tailandia, per l'esattezza.
E passano gli anni.
Ma mica due o tre?
30, 35!
Tanto che gli vengono i capelli bianchi del maestro e gli viene dato l'ottavo dan.
OTTAVO!
Ed il titolo di Shihan.
SHIHAN!
Ad una certa età e con un certo grado, con un bagaglio di esperienze alle spalle ed una nazione intera che ti invita a fare stages, ti senti pure un po' bravino,no?
E cerchi di esprimenti attraverso un aikido che non sia più sempre e soltanto coreografato, vi pare?
Si, esattamente.
Provi ad esprimere un Aikido Vivo.
Per l'appunto..PROVI!
Nel senso che se non ci hai lavorato in maniera specifica, se proprio durante un importantissimo embukai, improvvisi un Aikido Vivo su due piedi, per quatto tu possa essere graduato ed incensato, non hai che una sola possibilità: fare una figura di cacchissima.
Senza offesa per la cacca, che a modo suo, pure ha un'utilità....
La libertà non arriva per grazia e virtù dello spirito santo.
Non basta praticare lo schema perché un giorno, MAGICAMENTE, il nostro corpo si muova da solo in maniera adattiva.
E' uno studio che entra nello schema, lo frantuma fino a ricavarne i principi più profondi e lo ricostruisce a propria immagine e somiglianza, in funzione della necessità.
Richiede anni di sperimentazione,competenza specifica, richiede, soprattutto, di mettersi in gioco continuamente.
Ecco a voi un modello vivente di come un aikido schematizzato praticato in maniera assoluta, per decenni, possa entrare in tilt nel momento in cui non c'è un canovaccio con il proprio uke.
Nonostante il grado.
Nonostante l'esperienza.
Nonostante l'incarico.
Sapete cosa mi fa una tristezza INAUDITA?
Il fatto che i commenti su youtube parlino di "pessimi uke", che "opponevano resistenza al maestro" e si "comportavano in maniera davvero maleducata!"
Questo è indottrinamento, è non voler vedere e non ammettere che questa dimostrazione non è solo brutta e malriuscita.
E' patetica.
In tutti i sensi.
Ed è una mortificazione per chiunque creda che nell'aikido debba esserci un minimo di serietà.
30 ottobre 2011
Il disegno, la musica e l'attacco sbagliato
Si parla con grande candore del fatto che le basi in Aikido siano formative, strutturanti ed assolutamente indispensabili per accedere ad un mondo di libertà.
"Le basi - scrivono in giro- sono come le note musicali, senza le quali non si può suonare con cognizione di causa!"
Qualcun altro scrive "Le basi sono come gli strumenti per il disegno. Senza, puoi solo fantasticare!"
Ebbene, io sono d'accordo.
Credo fermamente nell'importanza di un percorso formativo che chiarisca al neofita qual'è l'obiettivo e cosa utilizziamo per poterlo conseguire.
Senza questa pianificazione, il tutto sarebbe per lo meno dispersivo, ammettiamolo!
...
Lo so che state aspettando il mio "ma".
Mi conoscete tutti troppo bene per non averlo previsto...
Eccolo.
Ma quante sono le note musicali?
E di quanti strumenti abbiamo bisogno per cominciare a disegnare?
Sette note e qualche accordo.
Un foglio ed una matita.
E la voglia di fare.
Non dico che il percorso finisca alle note.
Bisogna suonarle fino allo sfinimento.
Non dico che basti una matita ad essere un disegnatore.
Bisogna sprecare inchiostro e fogli di carta in quantità.
Ma lo facciamo CONTEMPORANEAMENTE alla nostra responsabilizzazione come artisti!
Mi fanno sempre molto sorridere i corsi per imparare ad usare il computer...
Per utilizzare il pc, bisogna sapere cos'è un mouse, una tastiera e come iniziare.
Poi si sperimenta..
E man mano che compaiono i problemi si cercano le soluzioni!
Possiamo mai pensare di dover imparare ogni funzione di Office, con tutte le scorciatoie di tastiera e le personalizzazioni delle impostazioni prima di scrivere un appunto su Word?
Non a caso i bambini imparano quasi più velocemente ad usare il pc che a parlare...
In giro si dice che per imparare davvero una lingua bisogna vivere per un po' sul posto.
Pare che imparare sbagliando, ma affrontando il problema reale, renda tutto molto più efficace che memorizzare in anticipo tutta la grammatica e tutto il dizionario...
Il punto è un altro.
Imparereste mai il giapponese da uno che non è mai stato in Giappone?
Uno che, per capirci, è un drago con la grammatica davanti, ma quando un turista di Tokyo gli chiede un'informazione va in panne, perché non era pronto alla domanda?
Imparereste mai a suonare da uno che nella sua vita ha fatto solo scale?
Che fa alla perfezione il giro di do, ma che è incapace ad improvvisare un jingle ad orecchio?
E perché ci sembra normale imparare l'Aikido da qualcuno che è capace solo ad eseguire i kata, ma che difronte ad una variabile, rimanda indietro uke e gli chiede di riattaccare correttamente?
Facciamo un esempio pratico.
Aihanmi-Gyakuhanmi.
Aihanmi è riferito ad una posizione dei piedi dx - dx o sx - sx.
Gyakuhanmi ad una posizione sx-dx o viceversa.
Per convenzione si è scelti di attaccare Shomen in Aihanmi e Yokomen in Gyakuhanmi.
Si racconta agli allievi che tori può colpire uke, se uke non rispetta questa regola.
Ebbene: vi siete mai trovati difronte ad un uke che si confondeva?
Lo avete colpito?
Ovviamente no.
E come avete reagito?
Il tutto è venuto molto male. Lo so.
Nulla di grave. Si corregge uke.
"Hai sbagliato ad attaccare!Avanza col piede giusto!"
E a questo punto mi verrebbe da cercare su Wikipedia la differenza tra "Addestrare" ed "Ammaestrare"...
Ragazzi...ma davvero esiste un attacco sbagliato o sono sbagliate le risposte inefficienti?
Ma resta la sensazione che un meccanismo dentro di noi, nascosto oltre il razionale, si sia inceppato.
Che l'Aiki sia rimasto nella nostra mente e non sia arrivato nel nostro spirito.
Perché meravigliarsi?
Ci siamo sempre e solo allenati con una convenzione didattica ed una convinzione sbagliata!
"L'attacco è sempre e solo così!Non esiste shomen al contrario!!"
Proviamo a sperimentare un pò.
Senza paura di sbagliare...
Cominciamo a spaccare un pò le resistenze del nostro ego e del nostro orgoglio.
Permettiamo ad uke di colpirci.
E mettiamolo nella condizione di improvvisare se non altro il lato dal quale attaccare.
Cosa ne viene fuori?
Che nella base esiste la biomeccanica di risposta per uno shomen gyakuhanmi ed uno yokomen aihanmi.
Il trucco sta nel apprenderla in modo che gli occhi non vengano chiusi dai troppi schemini.
Impariamo la base per liberarcene.
Lo sappiamo tutti.
Quello che non ci dicono è che ce ne liberiamo MENTRE la impariamo.
Così da imparare come chiamarla quando serve e come chiuderla in cantina quando è solo di ingombro.
Accettate un consiglio, per una volta sola.
Diffidate dai maestri infallibili.
Sono quelli che non si mettono mai in gioco.
"Le basi - scrivono in giro- sono come le note musicali, senza le quali non si può suonare con cognizione di causa!"
Qualcun altro scrive "Le basi sono come gli strumenti per il disegno. Senza, puoi solo fantasticare!"
Ebbene, io sono d'accordo.
Credo fermamente nell'importanza di un percorso formativo che chiarisca al neofita qual'è l'obiettivo e cosa utilizziamo per poterlo conseguire.
Senza questa pianificazione, il tutto sarebbe per lo meno dispersivo, ammettiamolo!
...
Lo so che state aspettando il mio "ma".
Mi conoscete tutti troppo bene per non averlo previsto...
Eccolo.
Ma quante sono le note musicali?
E di quanti strumenti abbiamo bisogno per cominciare a disegnare?
Sette note e qualche accordo.
Un foglio ed una matita.
E la voglia di fare.
Non dico che il percorso finisca alle note.
Bisogna suonarle fino allo sfinimento.
Non dico che basti una matita ad essere un disegnatore.
Bisogna sprecare inchiostro e fogli di carta in quantità.
Ma lo facciamo CONTEMPORANEAMENTE alla nostra responsabilizzazione come artisti!
Mi fanno sempre molto sorridere i corsi per imparare ad usare il computer...
Per utilizzare il pc, bisogna sapere cos'è un mouse, una tastiera e come iniziare.
Poi si sperimenta..
E man mano che compaiono i problemi si cercano le soluzioni!
Possiamo mai pensare di dover imparare ogni funzione di Office, con tutte le scorciatoie di tastiera e le personalizzazioni delle impostazioni prima di scrivere un appunto su Word?
Non a caso i bambini imparano quasi più velocemente ad usare il pc che a parlare...
In giro si dice che per imparare davvero una lingua bisogna vivere per un po' sul posto.
Pare che imparare sbagliando, ma affrontando il problema reale, renda tutto molto più efficace che memorizzare in anticipo tutta la grammatica e tutto il dizionario...
Il punto è un altro.
Imparereste mai il giapponese da uno che non è mai stato in Giappone?
Uno che, per capirci, è un drago con la grammatica davanti, ma quando un turista di Tokyo gli chiede un'informazione va in panne, perché non era pronto alla domanda?
Imparereste mai a suonare da uno che nella sua vita ha fatto solo scale?
Che fa alla perfezione il giro di do, ma che è incapace ad improvvisare un jingle ad orecchio?
E perché ci sembra normale imparare l'Aikido da qualcuno che è capace solo ad eseguire i kata, ma che difronte ad una variabile, rimanda indietro uke e gli chiede di riattaccare correttamente?
Facciamo un esempio pratico.
Aihanmi-Gyakuhanmi.
Aihanmi è riferito ad una posizione dei piedi dx - dx o sx - sx.
Gyakuhanmi ad una posizione sx-dx o viceversa.
Per convenzione si è scelti di attaccare Shomen in Aihanmi e Yokomen in Gyakuhanmi.
Si racconta agli allievi che tori può colpire uke, se uke non rispetta questa regola.
Ebbene: vi siete mai trovati difronte ad un uke che si confondeva?
Lo avete colpito?
Ovviamente no.
E come avete reagito?
Il tutto è venuto molto male. Lo so.
Nulla di grave. Si corregge uke.
"Hai sbagliato ad attaccare!Avanza col piede giusto!"
E a questo punto mi verrebbe da cercare su Wikipedia la differenza tra "Addestrare" ed "Ammaestrare"...
Ragazzi...ma davvero esiste un attacco sbagliato o sono sbagliate le risposte inefficienti?
Ma resta la sensazione che un meccanismo dentro di noi, nascosto oltre il razionale, si sia inceppato.
Che l'Aiki sia rimasto nella nostra mente e non sia arrivato nel nostro spirito.
Perché meravigliarsi?
Ci siamo sempre e solo allenati con una convenzione didattica ed una convinzione sbagliata!
"L'attacco è sempre e solo così!Non esiste shomen al contrario!!"
Proviamo a sperimentare un pò.
Senza paura di sbagliare...
Cominciamo a spaccare un pò le resistenze del nostro ego e del nostro orgoglio.
Permettiamo ad uke di colpirci.
E mettiamolo nella condizione di improvvisare se non altro il lato dal quale attaccare.
Cosa ne viene fuori?
Che nella base esiste la biomeccanica di risposta per uno shomen gyakuhanmi ed uno yokomen aihanmi.
Il trucco sta nel apprenderla in modo che gli occhi non vengano chiusi dai troppi schemini.
Impariamo la base per liberarcene.
Lo sappiamo tutti.
Quello che non ci dicono è che ce ne liberiamo MENTRE la impariamo.
Così da imparare come chiamarla quando serve e come chiuderla in cantina quando è solo di ingombro.
Accettate un consiglio, per una volta sola.
Diffidate dai maestri infallibili.
Sono quelli che non si mettono mai in gioco.
26 ottobre 2011
Svuotare la struttura, svuotare la mente o svuotare le tasche
Recentemente sono stato invitato a tenere un seminario fuori porta.
Ora, quando insegno ad una classe che non è la mia, difficilmente mi concentro sugli aspetti meramente tecnici.
Diciamo che non mi piace andare a casa degli altri a dettare regole.
Soprattutto perché già so che nel momento stesso in cui esco dalla porta queste regole verranno prima infrante e poi dimenticate...
Mi dedico per lo più a proporre delle esperienze che facciano riflettere sul cammino effettuato ed aprano un po' gli orizzonti su quello ancora da effettuare.
Mentre mi impegnavo ad aprire le giovani menti sulle possibilità di interazione col proprio uke, una volta chiariti i principi di riferimento, proponevo una serie di azioni tramite le quali i principi apparissero in maniera evidente.
Tra questi, il principio di base dello "spazio vuoto", altrimenti definibile come "punto di triangolazione".
So benissimo che tutti sapete perfettamente di cosa sto parlando.
Sono certo che tutti sapete che si tratta del punto in cui mettereste il cavalletto ad uke per renderlo perfettamente stabile.
E che proprio perché non ha il cavalletto, diventa per lui un punto di disequilibrio che non ha modo di coprire e che per contro, diventa per noi uno spazio da tenere costantemente d'occhio.
Per cui non ve lo ripeterò.
A me piace molto utilizzare la routine di Ikkyo per approfondire l'idea di spazio vuoto.
Trovo che Ikkyo ci insegni in maniera chiara a vedere il vuoto nello spazio o mote ed ura.
E allo stesso tempo, trovo che lo spazio vuoto ci insegni a non spingere il compagno su Ikkyo e ci obblighi a guardare come sono messe le sue gambe per scegliere se convenga muoversi davanti o dietro di lui.
Mentre, dunque, mi soffermavo sulle teorie geometriche dei punti di triangolazione, sottolineando l'importanza di non scegliere un'azione PRIMA di aver guardato come si riposizionava uke, l'insegnante del gruppo mi fa una domanda.
Ma non una domanda di quelle appena appena bizzarre e leggermente fuori luogo, alle quali puoi sempre cercare di rispondere salvando capra,cavoli e faccia del malcapitato.
Niente di tutto questo.
Se ne esce con una domanda senza speranza di redenzione alcuna, senza la chance di recupero, né morale né, tantomeno, tecnico...
Non che non ci abbia provato, badate!
"E se volessi fare Ikkyo URA, da quella posizione?" mi chiede.
Dico che da quella posizione può fare tante cose, Ikkyo omote, in primis, ma che ruotare dietro uke e raggiungere la posizione ura è un po' una forzatura.
"No, ma se volessi fare PROPRIO Ikkyo ura?"
La risposta giusta in quella situazione doveva essere
"Saresti stupido!"
Ma chiaramente non si poteva dare...
E quindi ho preferito parafrasare.
Poi ci ho pensato un po' su...
Il problema non origina nella capacità intellettiva dell'istruttore.
Il problema è che qualcuno ha convinto il povero insegnante, ed altri come lui, che sono loro a poter decidere A PRIORI quale tecnica portare ad uke.
Gli hanno fatto capire che Ikkyo, Iriminage et similia, funzionano sempre ed a prescindere dalla situazione e che loro possono tranquillamente scegliere quale carta giocare, in base a quella che al momento ritengono di saper fare meglio.
L'unico onere è ricordare alla perfezione tutti i dettagli del kata.
Come se ricordare e sapere fossero la stessa cosa...
Non solo.
In questo modo ha tralasciato per anni tutto ciò che è inerente alla capacità di ascoltare e comprendere i parametri della relazione, lasciando la propria sensibilità tattile e la percezione della situazione allo stato brado, al punto che ad oggi gli risulta quasi impossibile rendersi conto se la distanza alla quale si trova, agevola Kotegaeshi o Tenchinage...
Per assurdo, i suoi allievi principianti sono avvantaggiati rispetto a lui, perché i loro recettori non sono asserviti in schemi mentali e motori rigidi e canonizzati.
Ora vi chiedo: è possibile che l'Aikido preconfezionato non solo non acuisca le qualità del praticante, esaltandone i lati positivi e le potenzialità relazionali, ma che addirittura lo peggiori, lo abbrutisca e lo insipidisca, rendendolo cieco, meccanico e prevedibile solo ed unicamente per arricchire le tasche del maestrone di turno?
O forse semplicemente creano lo spazio vuoto, nella testa dei propri allievi?
Ora, quando insegno ad una classe che non è la mia, difficilmente mi concentro sugli aspetti meramente tecnici.
Diciamo che non mi piace andare a casa degli altri a dettare regole.
Soprattutto perché già so che nel momento stesso in cui esco dalla porta queste regole verranno prima infrante e poi dimenticate...
Mi dedico per lo più a proporre delle esperienze che facciano riflettere sul cammino effettuato ed aprano un po' gli orizzonti su quello ancora da effettuare.
Mentre mi impegnavo ad aprire le giovani menti sulle possibilità di interazione col proprio uke, una volta chiariti i principi di riferimento, proponevo una serie di azioni tramite le quali i principi apparissero in maniera evidente.
Tra questi, il principio di base dello "spazio vuoto", altrimenti definibile come "punto di triangolazione".
So benissimo che tutti sapete perfettamente di cosa sto parlando.
Sono certo che tutti sapete che si tratta del punto in cui mettereste il cavalletto ad uke per renderlo perfettamente stabile.
E che proprio perché non ha il cavalletto, diventa per lui un punto di disequilibrio che non ha modo di coprire e che per contro, diventa per noi uno spazio da tenere costantemente d'occhio.
Per cui non ve lo ripeterò.
A me piace molto utilizzare la routine di Ikkyo per approfondire l'idea di spazio vuoto.
Trovo che Ikkyo ci insegni in maniera chiara a vedere il vuoto nello spazio o mote ed ura.
E allo stesso tempo, trovo che lo spazio vuoto ci insegni a non spingere il compagno su Ikkyo e ci obblighi a guardare come sono messe le sue gambe per scegliere se convenga muoversi davanti o dietro di lui.
Mentre, dunque, mi soffermavo sulle teorie geometriche dei punti di triangolazione, sottolineando l'importanza di non scegliere un'azione PRIMA di aver guardato come si riposizionava uke, l'insegnante del gruppo mi fa una domanda.
Ma non una domanda di quelle appena appena bizzarre e leggermente fuori luogo, alle quali puoi sempre cercare di rispondere salvando capra,cavoli e faccia del malcapitato.
Niente di tutto questo.
Se ne esce con una domanda senza speranza di redenzione alcuna, senza la chance di recupero, né morale né, tantomeno, tecnico...
Non che non ci abbia provato, badate!
"E se volessi fare Ikkyo URA, da quella posizione?" mi chiede.
Dico che da quella posizione può fare tante cose, Ikkyo omote, in primis, ma che ruotare dietro uke e raggiungere la posizione ura è un po' una forzatura.
"No, ma se volessi fare PROPRIO Ikkyo ura?"
La risposta giusta in quella situazione doveva essere
"Saresti stupido!"
Ma chiaramente non si poteva dare...
E quindi ho preferito parafrasare.
Poi ci ho pensato un po' su...
Il problema non origina nella capacità intellettiva dell'istruttore.
Il problema è che qualcuno ha convinto il povero insegnante, ed altri come lui, che sono loro a poter decidere A PRIORI quale tecnica portare ad uke.
Gli hanno fatto capire che Ikkyo, Iriminage et similia, funzionano sempre ed a prescindere dalla situazione e che loro possono tranquillamente scegliere quale carta giocare, in base a quella che al momento ritengono di saper fare meglio.
L'unico onere è ricordare alla perfezione tutti i dettagli del kata.
Come se ricordare e sapere fossero la stessa cosa...
Non solo.
In questo modo ha tralasciato per anni tutto ciò che è inerente alla capacità di ascoltare e comprendere i parametri della relazione, lasciando la propria sensibilità tattile e la percezione della situazione allo stato brado, al punto che ad oggi gli risulta quasi impossibile rendersi conto se la distanza alla quale si trova, agevola Kotegaeshi o Tenchinage...
Per assurdo, i suoi allievi principianti sono avvantaggiati rispetto a lui, perché i loro recettori non sono asserviti in schemi mentali e motori rigidi e canonizzati.
Ora vi chiedo: è possibile che l'Aikido preconfezionato non solo non acuisca le qualità del praticante, esaltandone i lati positivi e le potenzialità relazionali, ma che addirittura lo peggiori, lo abbrutisca e lo insipidisca, rendendolo cieco, meccanico e prevedibile solo ed unicamente per arricchire le tasche del maestrone di turno?
O forse semplicemente creano lo spazio vuoto, nella testa dei propri allievi?
13 ottobre 2011
Noi.
Qualsiasi sia il nostro tappeto, la nostra città, la nostra nazione, il nostro credo è il sudore.
La nostra preghiera è il kiai e la caduta è il nostro segno della croce.
Abbiamo intrapreso un viaggio che durerà tutta la vita, che ci farà gioire e soffrire, che cambierà il nostro corpo e la nostra mente.
Che ci farà conoscere altra gente, tanti come noi, ed alla fine ci porterà a conoscere noi stessi.
Perché, qualsiasi sia la nostra età, il nostro peso, il nostro sesso...
abbiamo dentro di noi la scintilla dei Guerrieri.
Non ci interessano i timbri, vogliamo la pratica sana.
Non ci interessano i gradi, vogliamo che sia il tappeto a giudicarci.
Non ci interessano i maestri blasonati, vogliamo scegliere il nostro insegnante sulla base della stima e del rispetto reciproco.
Non ci importano riconoscimenti, allori e bandiere pagate con anni passati a leccare culi.
La nostra dignità è il nostro valore più alto.
Vogliamo un posto dove si possa fare Aikido senza dover essere politicanti.
Senza commerciare in gradi, stages, cinture e libretti.
Cavalchiamo la vita col keikogi più logoro....
Vogliamo un Mondo dove ci sia spazio per noi.
Finalmente lo abbiamo trovato.
La nostra preghiera è il kiai e la caduta è il nostro segno della croce.
Abbiamo intrapreso un viaggio che durerà tutta la vita, che ci farà gioire e soffrire, che cambierà il nostro corpo e la nostra mente.
Che ci farà conoscere altra gente, tanti come noi, ed alla fine ci porterà a conoscere noi stessi.
Perché, qualsiasi sia la nostra età, il nostro peso, il nostro sesso...
abbiamo dentro di noi la scintilla dei Guerrieri.
Non ci interessano i timbri, vogliamo la pratica sana.
Non ci interessano i gradi, vogliamo che sia il tappeto a giudicarci.
Non ci interessano i maestri blasonati, vogliamo scegliere il nostro insegnante sulla base della stima e del rispetto reciproco.
Non ci importano riconoscimenti, allori e bandiere pagate con anni passati a leccare culi.
La nostra dignità è il nostro valore più alto.
Vogliamo un posto dove si possa fare Aikido senza dover essere politicanti.
Senza commerciare in gradi, stages, cinture e libretti.
Cavalchiamo la vita col keikogi più logoro....
Vogliamo un Mondo dove ci sia spazio per noi.
Finalmente lo abbiamo trovato.
5 ottobre 2011
Video
Attaccare ed evitare pensando ad un secondo colpo.
Muoversi tenendo le gambe leggere e pronte.
Trasferire il movimento del corpo attraverso braccia rilassate e pesanti.
Mantenere la costante attenzione alle possibilità di a temi durante la connessione.
Prestare attenzione ai segnali di uke, a quello che lui può fare dalla sua posizione, perché lui ce lo sta comunicando.
Muoversi tenendo le gambe leggere e pronte.
Trasferire il movimento del corpo attraverso braccia rilassate e pesanti.
Mantenere la costante attenzione alle possibilità di a temi durante la connessione.
Prestare attenzione ai segnali di uke, a quello che lui può fare dalla sua posizione, perché lui ce lo sta comunicando.
4 ottobre 2011
1 ottobre 2011
A proposito di uke
Un interessante e piacevole articolo pubblicato su Aikime, da Marco Rubatto, a proposito delle perversioni nel rapporto con l'uke/partner/compagno di merende.
"Voglio il mio uke!"
Da Aikime ci spostiamo sul Blog Seishinkan, dove Gabriele Pintaudi fa eco con qualche spunto a proposito degli attacchi:
"Dare scontato ciò che non lo è"
E per chi non lo avesse ancora fatto, vi linko un paio di pensieri sul ruolo di uke tratti da AikidoVivo:
"Uke, il vecchietto ed il bisogno di vendetta"
e
"Aggressore amico mio".
Giusto per solleticare il sonnacchioso spirito del weekend...;)
"Voglio il mio uke!"
Da Aikime ci spostiamo sul Blog Seishinkan, dove Gabriele Pintaudi fa eco con qualche spunto a proposito degli attacchi:
"Dare scontato ciò che non lo è"
E per chi non lo avesse ancora fatto, vi linko un paio di pensieri sul ruolo di uke tratti da AikidoVivo:
"Uke, il vecchietto ed il bisogno di vendetta"
e
"Aggressore amico mio".
Giusto per solleticare il sonnacchioso spirito del weekend...;)
29 settembre 2011
Ispirational moment
In primis un ringraziamento a tutti voi per aver portato questo blog alla soglia dei 10000 contatti!
E' bello sapere di non essere soli...:)
Questa volta vi propongo un video.
Eccolo:
Guardatelo la prima volta, e lasciatevi affascinare da come questo insegnante penetri nella guardia di uke.
Guardate come il suo corpo fluisce negli spazi vuoti che la struttura di Shomen è portata a creare.
Visto?
Ok.
Ora riguardatelo.
E leggete bene i sottotitoli.
Voglio portare la vostra attenzione su l'ultima frase.
"Non afferrate mai da nessuna parte. Può darsi che il vostro partner cerchi di sfuggire e voglia ritrarsi. Dunque potreste sentire la necessità di afferrarlo. Ma mi chiedo se effettivamente ci sia bisogno di fare qualcosa a qualcuno che sta cercando di fuggire via."
Se non lo avete ancora fatto, vi rimando alla lettura di questo POST.
E vi chiedo di chiudere gli occhi e pensare a quante volte, senza risultati, avete cercato di trattenere con tutte le forze qualcuno che voleva andare via...
E' bello sapere di non essere soli...:)
Questa volta vi propongo un video.
Eccolo:
Guardatelo la prima volta, e lasciatevi affascinare da come questo insegnante penetri nella guardia di uke.
Guardate come il suo corpo fluisce negli spazi vuoti che la struttura di Shomen è portata a creare.
Visto?
Ok.
Ora riguardatelo.
E leggete bene i sottotitoli.
Voglio portare la vostra attenzione su l'ultima frase.
"Non afferrate mai da nessuna parte. Può darsi che il vostro partner cerchi di sfuggire e voglia ritrarsi. Dunque potreste sentire la necessità di afferrarlo. Ma mi chiedo se effettivamente ci sia bisogno di fare qualcosa a qualcuno che sta cercando di fuggire via."
Se non lo avete ancora fatto, vi rimando alla lettura di questo POST.
E vi chiedo di chiudere gli occhi e pensare a quante volte, senza risultati, avete cercato di trattenere con tutte le forze qualcuno che voleva andare via...
27 settembre 2011
Ma l'Aikido è un'arte marziale?
L'ottimo Stephan Benedetti, risponde a questa domanda chiamando in causa Sun Zu, spiegando che il vero vincitore è colui che non combatte.
Non è che non sia d'accordo con lui, ma...
Sinceramente?Siamo un po’ stanchi.
Siamo un po’ stanchi di gente che alla domanda se l’Aikido sia o meno un’arte marziale, ci risponde spiegandoci l’inutilità del combattimento.
L’Aikido è un’arte marziale?
Prevede una risposta sola.
SI.
O No.
SI.
O No.
Come la vedo io?
L’Aikido è un’arte marziale a tutti gli effetti.
L’Aikido è un’arte marziale a tutti gli effetti.
Perché?
Perché l’armonia che nasce dall’armonia non ha bisogno di anni di Aikido per manifestarsi.
E’ ovvia, naturale e ridondante.
E’ ovvia, naturale e ridondante.
E meno male che c’è, aggiungerei.
L’Armonia che nasce dal caos, invece, è il miracolo al quale l’Aikido ci conduce.
Il cuore del vero aikidoka trova la pace al centro della battaglia.
E’ difficile?
Molto.
Riesce subito?
Niente affatto.
Molto.
Riesce subito?
Niente affatto.
Ma ripensate a perché vi siete avvicinati al tatami.Ripensate al vostro spirito puro di principiante.
Credevate nell’Aikido.
Non avevate bisogno di onanismi mentali, se qualcuno vi chiedeva “L’Aikido è un’arte marziale?”
Credevate nell’Aikido.
Non avevate bisogno di onanismi mentali, se qualcuno vi chiedeva “L’Aikido è un’arte marziale?”
Maestro è colui che semplifica, non colui che perverte.
E con tutto il rispetto per Benedetti ( che è un gran conoscitore di Aikido ed un grande budoka, in generale!) l’unico Aikido che conosco è quello che nasce da un’arte marziale, dal confronto col caos, con la paura, con lo stress.
E che da esse ricava armonia.
E con tutto il rispetto per Benedetti ( che è un gran conoscitore di Aikido ed un grande budoka, in generale!) l’unico Aikido che conosco è quello che nasce da un’arte marziale, dal confronto col caos, con la paura, con lo stress.
E che da esse ricava armonia.
22 settembre 2011
Lasciamoci ispirare...
Lentamente muore
Parole note
Costa solo 5,50 E e tutti i soldi vanno alla ricerca contro il cancro.
19 settembre 2011
La Tradizione, il Carosello e la Famosa Salsa
A casa mia il giorno di Natale è tradizione mangiare la famosa salsa.
E' una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
"Nonna, ma quest'anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?" col rombo del tuono alla finestra...
L'intingolo in questione nasce in un modo molto popolare.
Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate.
Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l'albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.
E' tradizione!
La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all'albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno.
Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.
Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito.
Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro "NO".
Definitivo, austero e senza scampo, decise che "A tradizione ce vò e tutti l' hann'à rispettà!"
Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l'anno successivo.
Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa.
Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente!
Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.
L'anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa.
Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà.
Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY.
Una bella passata di salsa nel bimbi la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e che fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.
I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto.
Abituati com'erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante.
Ma il sapore non lasciò dubbi!
Solo il buono della famosa, all'ennesima potenza!
Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all'Aikido.
Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico.
Ma non gli ho dato il link di questo blog...
Troppo spesso si parla dell'Aikido come di una disciplina tradizionale.
Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.
"Tradizionale - starete pensando - è l'Aikido del Fondatore!"
Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi.
La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!
Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l'Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.
Cosa credo io?
Penso che "Tradizione" sia rispettare l'obiettivo dell'arte.
O' Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita.
Questo era l'obiettivo.
Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito.
Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione.
La strada per perseguirlo è solo figlia dell'epoca.
Il metodo di allenamento non è tradizione.
E' scienza.
Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo.
Un tempo nel quale la televisione,per esempio, era ancora appannaggio di pochi.
Ci sarebbero voluti vent'anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.
Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky.
Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo.
Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi.
Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.
Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita.
Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso?
Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste?
Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste?
Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?
I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un'eresia, a Morihei che l'Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l'auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.
Studiamo la storia, va bene.
Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.
Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta! ;)
E' una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
"Nonna, ma quest'anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?" col rombo del tuono alla finestra...
L'intingolo in questione nasce in un modo molto popolare.
Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate.
Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l'albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.
E' tradizione!
La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all'albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno.
Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.
Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito.
Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro "NO".
Definitivo, austero e senza scampo, decise che "A tradizione ce vò e tutti l' hann'à rispettà!"
Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l'anno successivo.
Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa.
Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente!
Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.
L'anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa.
Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà.
Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY.
Una bella passata di salsa nel bimbi la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e che fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.
I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto.
Abituati com'erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante.
Ma il sapore non lasciò dubbi!
Solo il buono della famosa, all'ennesima potenza!
Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all'Aikido.
Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico.
Ma non gli ho dato il link di questo blog...
Troppo spesso si parla dell'Aikido come di una disciplina tradizionale.
Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.
"Tradizionale - starete pensando - è l'Aikido del Fondatore!"
Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi.
La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!
Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l'Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.
Cosa credo io?
Penso che "Tradizione" sia rispettare l'obiettivo dell'arte.
O' Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita.
Questo era l'obiettivo.
Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito.
Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione.
La strada per perseguirlo è solo figlia dell'epoca.
Il metodo di allenamento non è tradizione.
E' scienza.
Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo.
Un tempo nel quale la televisione,per esempio, era ancora appannaggio di pochi.
Ci sarebbero voluti vent'anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.
Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky.
Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo.
Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi.
Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.
Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita.
Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso?
Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste?
Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste?
Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?
I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un'eresia, a Morihei che l'Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l'auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.
Il valore della storia è tale se ci permette di non incorrere negli errori dei nostri avi.
Studiamo la storia, va bene.
Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.
Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta! ;)
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