29 luglio 2012

La carovana, il viaggio e l'incontro

Ricordo che quando ero adolescente frequentavo una comitiva numerosissima.
Eravamo circa quaranta tra ragazzi e ragazze e ci incontravamo tutti i sabati e le domeniche.
Se oggi mi chetereste come abbia fatto a mettere insieme tanta gente per uscire,
vi risponderei che non ne ho la più pallida idea.

Quello che posso dirvi con certezza è che avevamo delle strane abitudini.
Una di queste consisteva nell'incontrarci tutti insieme nello stesso punto e muoverci in carovana per raggiungere la destinazione prescelta.



In un traffico napoletano del sabato sera, credetemi, tenere compatta una fila di dieci auto è arduo quasi quanto applicare le normative di sicurezza a bordo di un aereo che sta precipitando.

Eppure ci incazzavamo come le bestie se qualcuno non si presentava all'appuntamento, se saltava la processione preserale, senza la quale, come un rituale iniziatico che si ripeteva ogni settimana, non si era ammessi ai bagordi.



Col tempo, grazie a non so quale musa illuminante, ci apparve d'un tratto più semplice incontrarci direttamente al locale, possibilmente già dentro, con consumazione alla mano, saltando completamente il randez vouz di antipasto, con tutto lo stress legato a ritardi, cambi improvvisi di programma ed autovetture smarrite nella via crucis.

Volete mettere il relax ed il piacere di incontrare la tua gente già senza cappotti, e poter domandare loro con che mezzo fossero arrivati o che strada avessero scelto?

Il mio problema era solo preoccuparmi del mio tragitto, cercando la scorciatoia migliore fino al punto x e, magari, caricandomi in macchina la mia ragazza o il gruppo più stretto.



Una volta parcheggiato, restava solo da godersi la musica, il cibo e la bella compagnia.

Questo succedeva più di venti anni fa, ahimè…

E come è possibile che oggi mi guardo intorno e vedo che il mondo dell'Aikido ragiona spesso alla stessa, ottusa maniera di ragazzetti di quindici anni?

Se l'Aikido, per citare il Fondatore, è un modo di essere e la strada per raggiungerlo è fatta di kata, per quale motivo ci preoccupiamo così tanto del tragitto e poco dell'obiettivo?




Perché chiudiamo il nostro mondo solo alla carovana che ha percorso il viaggio insieme a noi, nello stesso mezzo e passando per le stesse vie?

Perché i nostri dialoghi si interrompono sempre al modo di tirare Ikkyo, o al tipo di Kata studiato con il bastone, invece che incontrarci serenamente in loco, lo stato di "Aiki", ed interagire semplicemente sul qui e sull'ora, rendendo il tragitto un semplice convenevole, una domanda più di rito che di curiosità?

Incontriamoci per fare Jyuwaza, impegnandoci al massimo per essere uke sinceri e rispettando l'integrità del compagno e gli orizzonti si allargheranno...

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