Facciamo due conti.
Nel Giappone feudale, la vita media era all'incirca 60 anni.
Il che vuol dire che a 50 eri considerato vecchio, saggio e prossimo alla dipartita.
I samurai apprendevano qualcosa come 17 differenti discipline, dal maneggio delle armi al Jujutsu, dall'equitazione alle tecniche di arresto.
Ora, se consideriamo che per apprendere ognuna di queste discipline in maniera tale da affidare alla loro conoscenza le nostre chiappe ci vorrebbero per lo meno 5 anni di studio quotidiano, in media, dedicandone di fatto 7 alla spada e 3 al cavallo, per esempio, ed utilizzando la calcolatrice del mio pc, troviamo che 5x17=85
85 anni di allenamento quotidiano per padroneggiare tutto il sapere del Budo.
Senza manco eccellere, diciamocelo.
Bene.
Contiamo che un guerriero doveva essere pronto per scendere in battaglia prima dei 20 anni e chiediamoci un minuto come questo fosse possibile.
O i giapponesi avevano inventato una qualche magia per zippare 10 anni di allenamento in uno, una sorta di WinRar temporale, che sarebbe un pò il sogno dell'essere umano, oppure la loro didattica aveva un qualche segreto.
Viaggi nel tempo a parte, la spiegazione si trova in un unico principio di insegnamento delle discipline del Budo.
Il "RIAI".
RIAI vuol dire "coerenza".
Si parla della capacità di scambiare competenze tra varie aree di lavoro, in modo tale da utilizzare delle conoscenze acquisite in una di esse, per evolvere la maestria in tutte le altre.
Così,a livello strategico, quando si parla di "Nuki", per esempio, ossia la strategia di offrire un bersaglio all'avversario per attirare in quel punto il suo attacco, essa può essere utilizzata indipendentemente dall'arma che stavamo maneggiando.
Allo stesso modo, a livello tecnico, quando si parla di pressione indiretta, si identifica un movimento di una sezione del corpo utilizzando come motore un punto distante da quella sezione.
Flettere il gomito per alzare una mano, per esempio, è una trovata tecnica che funzia nel Jujutsu, per liberare un braccio, come nel Kenjutsu, per sollevare la spada o nel Jojutsu, per governare la punta e così via.
Per noi aikidoka, il Riai dovrebbe essere quel ponte che fa si che tutte le nostre aree si supportino l'una con l'altra.
Suwari Waza, Hanmihandachi, Tachi ed ovviamente Bukiwaza.
Ma secondo me, non solo.
Credo che quando il nostro sapere si universalizza, e passa dalla conoscenza dello strumento "arma" o dello strumento "tecnica", alla conoscenza dello strumento "corpo" e del rapporto "spazio-tempo", esso possa portarci anche al di fuori delle nostre aree di competenza.
Maneggiare un bastone corto, per esempio, pur non avendolo mai imbracciato, non dovrebbe essere così innaturale per chi si è allenato nel Taijutsu, nell'Aikiken e nell'Aikijo con lo spirito del Riai.
Nell'ultimo seminario di Palermo, per spiegare il Riai ho improvvisato un Jyu Waza utilizzando una sedia come arma.
Una sedia, avete letto bene.
Chiaramente non ispirandomi alle immagini dell'Uomo tigre, per quanto quelle scene impreversassero prepotentemente nella mia mente!
Ma come se fosse un Jo a 4 punte, passando da una presa di contatto ad una centralizzazione e ad una proiezione.
E man mano che ci prendevo gusto, riuscivo anche a mettere uke seduto sulla mia sedia, invece che lanciarlo via.
Il senso è semplice: se si sta attenti a non confondere il messaggio col messaggero, lo si può vestire di qualunque costume, conservandone il senso, la sensazione ed il piacere di praticarlo.
Molto bene, mi piace. Ma sei ancora abbastanza al di sotto delle tue aiki-possibilità!
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