E' una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
"Nonna, ma quest'anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?" col rombo del tuono alla finestra...
L'intingolo in questione nasce in un modo molto popolare.
Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate.
Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l'albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.
E' tradizione!
La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all'albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno.
Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.
Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito.
Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro "NO".
Definitivo, austero e senza scampo, decise che "A tradizione ce vò e tutti l' hann'à rispettà!"
Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l'anno successivo.
Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa.
Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente!
Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.
L'anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa.
Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà.
Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY.
Una bella passata di salsa nel bimbi la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e che fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.
I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto.
Abituati com'erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante.
Ma il sapore non lasciò dubbi!
Solo il buono della famosa, all'ennesima potenza!
Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all'Aikido.
Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico.
Ma non gli ho dato il link di questo blog...
Troppo spesso si parla dell'Aikido come di una disciplina tradizionale.
Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.
"Tradizionale - starete pensando - è l'Aikido del Fondatore!"
Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi.
La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!
Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l'Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.
Cosa credo io?
Penso che "Tradizione" sia rispettare l'obiettivo dell'arte.
O' Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita.
Questo era l'obiettivo.
Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito.
Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione.
La strada per perseguirlo è solo figlia dell'epoca.
Il metodo di allenamento non è tradizione.
E' scienza.
Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo.
Un tempo nel quale la televisione,per esempio, era ancora appannaggio di pochi.
Ci sarebbero voluti vent'anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.
Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky.
Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo.
Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi.
Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.
Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita.
Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso?
Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste?
Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste?
Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?
I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un'eresia, a Morihei che l'Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l'auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.
Il valore della storia è tale se ci permette di non incorrere negli errori dei nostri avi.
Studiamo la storia, va bene.
Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.
Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta! ;)
OGGETTIVAMENTE indiscutibile
RispondiEliminaNoo! Nulla è oggettivo!!! :D
RispondiEliminanon si può parlare del cibo di natale senza citare questo pezzo:
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=ihuLRs_KP2k#t=03m25
Siani Sensei!!:)
RispondiEliminaPer un tradizionalista ammettere questo sarebbe un suicidio. Vorrebbe dire rimettere in discussione tutto il suo sapere, come i suoi riferimenti e le sue certezze. Ma il tradizionalista per obbedire alla sua natura, ha scelto una strada che gli dia certezze, punti fermi su cui puntare. In poche parole è il tradizionalista a creare il tradizionale , non il contrario.
RispondiEliminaUltimamente vedo un ritorno al Daito e all’Aikijutsu da parte di molti. E’ normale, rappresenta la ricerca di tranquillità, di certezze antiche e “certificate” (non si sa bene da che campo di battaglia).
Il problema è sempre lo stesso… l’innovazione, la libertà creano incertezze, rompono gli equilibri, spaccano gerarchie, mandano in soffitta metodi e rituali.
Insomma le persone difficilmente scelgono una strada del genere(quelle che lo fanno nella maggior parte li trovi negli SDC e comunque tra i giovani), normalmente chi sceglie una disciplina come l’Aikido vuole certezze, percorsi chiari e stabiliti, gradi riconosciuti.
Come dire …nun me da pensieri..
E questo per i discenti.
Per i docenti è ancor più ficcante la questione.
Avere un programma rigoroso e un riconoscimento a prescindere, facilita la vita.
Niente da dimostrare (l’ha dimostrato qualcun altro importante, oppure sta scritto su..)
Nessuna fatica (se non mnemonica e ripetitiva)
Certezze economiche derivanti dal niente da dimostrare e dal monopolio su alcuni ambiti( possano essere gradi aikikai o riconoscimenti coni o il riconoscimento all’interno di un gruppo numeroso etc.)
Di tutto ciò me ne disinteresso normalmente. Avvengono le stesse cose in tanti altri ambiti umani e sociali e sono sempre le stesse meccaniche.
Una cosa sola mi dispiace e vorrei che anche i “tradizionalisti” considerassero.
“L’evoluzione”
e mi riferisco al corpo umano e alle conoscenze scientifiche.
Ora a me non importa, se per raggiungere l’obiettivo dell’arte, Tizio sceglie una strada e Caio un’altra, quello che dispiace è perdere parte dell’obiettivo. Come? Perché si perde una parte dell'obiettivo?
Il perché l’ho spiegato prima … è più facile e meno faticoso.
Il come … dimenticando che parte dell’obiettivo presuppone il benessere fisico e la forza per praticare. Obiettivo che ogni bravo insegnante dovrebbe porsi e quindi studiare, cambiare metodologie d’allenamento, informarsi, mettersi in gioco in prima persona, sperimentare nuove forme d'allenamento. L'armonia si deve trovare nel caos, nelle difficoltà dello sconosciuto, non nelle certezze e nei programmi stabiliti.
Per fare un esempio è come il genitore:
che si limiti a riproporre i metodi educativi dei suoi avi;
o riproponga la sua sola religione;
o i suoi stereotipi;
le sue priorità.
Provate ad ascoltare i genitori all’uscita da scuola, sempre le stesse frasi…quante volte gli sentite dire: vieni a papà, vuoi il gelato papà, mi raccomando non correre..mamma
Che italiano è questo?
Possibile che gente laureata non si ponga il quesito?
Cosa gli ci vorrebbe a dire: non correre…(e stop)
È difficile, presuppone pensare che i propri genitori parlavano a pene di segugio... e così si spiega il post di Fabio.
Mi vengono in mente gli spot anti retrò della citroen DS3!
RispondiEliminaCarissimo Fabio, finalmente riesco a rileggere questo blog dopo circa tre settimane di blackout e trovare un pò di tempo x scrivere.
RispondiEliminaAllora.
Premetto che sono rimasto senza patente (guidavo con la patente scaduta senza rendermene conto ed ora mi tocca aspettare ancora qualche giorno x riaverla dalla Prefettura). Non sono ancora riuscito a salire su un tatami in questo mese di settembre ... MA ... il tatami è estendibile per tutta una giornata.
Ed ecco che ritorni tu (e gli insegnamenti di tuo Padre Luigi) nella mia mente.
Mi spiego meglio.
Giorni fa, aspettando che un mio amico scendesse da casa sua (abita al 7mo piano), nella mia mente risuonava il racconto di quando tu, caro Fabio, camminavi sul tatami con le dita dei tuoi piedi uncinate ed "aggrappate" al tappeto.
Ad un certo punto visto che era sera tardi che ero "apparentemente" da solo (nessuno mi vedeva) ... provavo un pò di kaiten per la strada ... ma sentivo che le mie scarpette da ginnastica erano "inchiodate" al suolo ... e non riuscivo ad effettuare la rotazione dei piedi ... ALLORA ...
Ho ripensato, Fabio, alle tue parole sul tatami: "consideriamo PERCHE' una tecnica funziona e NON come si fa" ... allora tutto mi è stato chiaro.
E come se avessi avuto un'illuminazione.
Ho riconsiderato che l'Aikidò "deve" essere "adattivo" se avessi voluto per forza eseguire kaiten come da "TRADIZIONE" avrei consumato sia l'asfalto che le scarpette con un bel buco al centro!!!
A proposito, sai come ho fatto kaiten?
Non te lo dicooooooooooooooooo ...
Ma tu sicuramente l'avrai provato già una senzazione simile ... asfalto ruvido sotto i piedi ... e mò come mi giro di 180°? Io l'ho provato e (forse) ho capito;
spero solo che nessuno mi abbia visto!!!
Caro Fabio, vedo che sei un Vulcano di idee ... Grazie x ciò che ci dici!
Anche al di fuori di un tatami il tuo Aikido OGGI riflette ciò che Sensei concepì nel suo animo.
Sento che è così!
Ti stimo.
Ciao Vincenzo.