6 maggio 2011

Il saluto: ma non bastava un "Ciao"?

Recentemente qualcuno mi faceva notare che quando un principiante, col suo keikogi giallino,in genere immenso, sale per la prima volta su un tatami di aikido, sono molte le cose che lo straniscono, ma quella che noi insegnanti diamo assolutamente per scontato è il saluto.

Eppure se per un istante ci mettessimo nei panni e nella testa del nostro neofita, potremmo facilmente immaginare che vedere una schiera di gente accovacciata ad occhi chiusi in una posizione dolorosissima, in un ordine apparentemente casuale e invece rigoroso, che si prostra pronunciando uno strano gramelot giapponesizzante lascia quantomeno interdetti!

LA STORIA
Il rito del saluto è legato in maniera indissolubile alla gestualità dei campi di battaglia. Nel  Giappone Medieval le battaglie erano composte da una sequenza di duelli singoli, nei quali si cercava la gloria e la vittoria sconfiggendo (e decollando) rinomati guerrieri e generali nemici.
L'atto del saluto era legato alla presentazione di sè stessi all'avversario, enunciando a grande voce il proprio nome e reclinando di qualche grado il capo, come a dire "mi dispiace, ma ti devo ammazzare!"...

Dal campo al dojo, il rituale assume nuovi significati. Il Sensei non era solito condurre esercizi di riscaldamento e preparazione, area che veniva solitamente devoluta al Sempai più anziano che, terminato il suo compito, faceva accomodare (in SEIZA, ovviamente!) l'arrivo dell'insegnante per proseguire la lezione.
L'insegnante entrava nella sala, si sedeva prima accanto agli studenti come per aspettare che lo Spirito del Fondatore incominciasse la lezione (ahhh lo shintoismo!), poi gli si inchinava, come per dire "Nonostante non sia te, cercherò di fare del mio meglio" e lo stesso faceva con la classe, che rispondeva inchinandosi a sua volta, in segno di rispetto per ciò che comunque avrebbero imparato da lui.

LA FORMA
Partendo in posizione di Seiza, con le mani sulle ginocchia, la schiena dritta ed il mento retratto, si poggia al suolo prima la mano sinistra, poi quella destra a formare un triangolo tra indici e pollici, verso il quale scende la punta del naso quando ci si inchina.
Si rialza lo sguardo, il capo, prima la mano destra e poi la sinistra.
Questo per tenere occupata il meno possibile la mano addestrata al combattimento.

Il saluto di inizio allenamento lo si fa pronunciando la formula "ONE GAESHI MASU"; che vuol dire,grossomodo, "Piacere di scambiare insieme", ed alla fine si chiude con "ARIGATO GOZAIMASU", "Grazie per lo scambio".

Nel saluto al Fondatore, il Maestro si inchina per primo e si rialza per ultimo, al contrario, nel saluto al Maestro, lui si inchina per ultimo e si rialza per primo.

IL SENSO

Ok, abbiamo sviscerato un momento tutto il casino del rituale e le storielle sui campi di battaglia.
In realtà ci sarebbero ancora tanti particolari, che prometto solennemente di risparmiarvi....
Ma dopotutto, oggi, che cosa rappresenta tutto questo salutarsi? Ma un "Ciao Maè!" non sarebbe sufficiente???
Il saluto è un interruttore. E' il momento che sancisce un limite temporale, una frattura fra ciò che è fuori dal dojo e ciò che è dentro.
Nel momento del saluto, la nostra mente deve riuscire a spegnere la luce su ciò che rappresentiamo per accenderla su ciò che siamo.
Il sesso, il ruolo, l'età, la dichiarazione dei redditi, il moroso geloso, la moglie rompiscatole ecco....questa roba resta nella borsa. Insieme ai jeans e ai calzini...
Restiamo noi,resta il nostro corpo,il nostro sentire intorno a noi e dentro di noi.
Quando il maestro si inchina, il suo gesto sottende una domanda: "Dove siamo?"
Quando l'allievo si inchina, il suo gesto sottende una risposta: "Qui ed Ora!"


3 commenti:

  1. grazie mille maestro, ARIGATO GOZAIMASU, ti dispiacerebbe fornire anche i particolari e non ti dispiace :)

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  2. Si fa quel che si può, caro Alessandro....;)

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  3. Credo che la formula corretta sia "onegai shimasu". Pronunciato "onegaiscimas" La seconda parte shimasu deriva dal verbo suru che significa "fare" coniugato al presente. L’origine della parola onegai è nel verbo negau che significa letteralmente "pregare (qualcosa)" o "desiderare per (qualcosa)". Il significato completo per i praticanti di aikidō è: "prego lasciatemi addestrare con voi".
    È un modo di chiedere all'altra persona di impartire un insegnamento, di insegnare qualcosa. Nel linguaggio corrente è utilizzato nel senso di “ci sono, hai la mia attenzione”. Ciao, Carlo

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