18 novembre 2011

Il Maestro, l'Istruttore ed il Parcheggiatore in piazza

Un proverbio giappano recita: "Tre anni spesi a cercare un buon maestro , non sono tre anni buttati!"
Più cresco più ne sono convinto.

Un amico dice molto più cinicamente, che ognuno ha il maestro che si merita.
Per citare un altro detto nipponico "Quando l'allievo è pronto, il maestro arriva".
Vuol dire,secondo me, che non dobbiamo mai smettere di controllare il nostro livello di maturità, e cercare continuamente un maestro che possa darci degli spunti.
Anche dopo 20 anni.
Anche dopo il 5th dan.





Eppure scendi di casa e trovi corsi di aikido dappertutto.
Ieri ho scoperto che il mio postino è "Sensei di Aikidò" (parole sue) e che il parcheggiatore abusivo in piazza "Fa l'AKIDO!"(senza "i"), sempre parole sue.
Contenti loro, contenti tutti.

Mi ricorda un po' il fenomeno di tutti quelli che si sentono registi solo perché sanno applicare una transizione con Movie Maker.





Mi chiedo,allora, ma se è pieno di gente che insegna a destra e a manca,dove sono quelli che si allenano?
Perché questa disciplina  è relativamente poco diffusa nel nostro Paese?
Il fatto è che l'Aikido è pieno di istruttori e scarseggiano i maestri.
La maggior parte degli insegnanti tende ad "impartire istruzioni" sul da farsi.
"Io fare Ikkyo. Io insegnare te come io fare."
Livello di pensiero 1.0, stile "Io Tarzan tu Jane!".





Questo li fa sentire "i Capi" della situazione.
"Tu devi fare così e poi cosà!"

In pochi badano a "formare" e non soltanto ad "istruire".

L'istruttore da soluzioni a problemi che non conosciamo.
Il maestro ci pone problemi di cui non conosciamo le soluzioni.

Ci mette in difficoltà e ci obbliga a trovare delle risposte.
Ci fa lavorare, attivamente, sul nostro processo di cambiamento.
Non si preoccupa del nostro ego risparmiandoci fallimenti.

Lui non vuole che noi facciamo giusto.
Vuole che noi facciamo esperienza!

Cosa fate quando comprate un cellulare nuovo?
Leggete bene il libretto di istruzioni prima di accenderlo, o lo accendete e provate?
E quando aprite il libretto di istruzioni per quella funzione che proprio non trovavate, sapete già come muovervi e cosa cercare.




Conoscete il valore dell'informazione che state ricevendo.

E tra voi ed il telefono non c'è il libretto come intermediario.

Perché allora dobbiamo sempre avere un intermediario tra noi ed il nostro aikido?
Perché un insegnante vuole essere costantemente protagonista del percorso di un allievo?

Per pettinare ancora un po' il suo Ego.



Ma un vero Maestro non vuole essere adorato ed ossequiato.

Indica la Via, ci segue nel percorso lasciandoci cadere, ovviamente attento a non farci ferire troppo, e ci incita a sollevarci con le nostre stesse gambe.

Per quanto acido lattico ci sia nelle cosce e per quanto sbucciate siano le ginocchia, trova sempre il modo di risvegliare in noi la forza di continuare.


13 novembre 2011

Morihei, l'Irimitenkan ed il cappello di Indiana Jones

La prima cosa che si impara salendo su un tatami di Aikido, è notoriamente l'irimitenkan.
Ripetuto centinaia di volte.

E' uno di quei must che non puoi non avere.

Grossomodo come fare l'esame di anatomia a medicina, assaggiare il gelato fritto al ristorante cinese, capitare casualmente su un sito XXX cazzeggiando per la rete...




Accompagnato da tante bellissime didascalie, quali "l'Aikido è circolare!", "La sfera dinamica!" o ancora più pittorescamente, "Sparire e riapparire alle spalle dell'avversario!".

Per anni quindi, ci alleniamo nel perfezionare questo taisabaki, controllandone la simmetria, disegnando alla perfezione l'arco di 180 gradi, bilanciando costantemente la distribuzione dei pesi, forzando al massimo l'irimi per restare perfettamente in linea con l'attacco, e abbinando al tutto la corretta respirazione.

Qundo finalmente ci sentiamo cintura nera di irimitenkan, con un allenamento alle spalle tale da poter ruotare alla perfezione anche ad occhi chiusi, saliamo sul tatami on una freccia sempre incoccata al nostro arco.

Al primo che ci saluta, rispondiamo con un irimitenkan degno di una ballerina professionista!





Mi ricordo che per molto tempo ho considerato l'allenamento di I.T. in solitaria come il succo stesso della pratica dell'Aikido.

Ore ed ore passate a consumare piedi, ginocchia e tappeti di casa mia.

Un giorno, poi, il delitto supremo.

Leggendo un libro su O Sensei, mi capitò una frase nella quale si diceva che lui praticava O irimi, O tenkan, ma mai irimitenkan di seguito.

C'era scritto che questo taisabaki era stato introdotto a scopo formativo da suo figlio, e che molti dei suoi allievi lo avevano adottato come propedeutico di base.

Devo dire che se gli occhi non mi caddero sulla carta in quel frangente, difficilmente mi potranno cadere in futuro!





Non ho bisogno di raccontarvi che presi tutte e 25 videocassette su Morihei dalla nostra libreria e passai varie ore a spulciarle per ritrovare un Irimitenkan completo.

Niente. Nisba. Niet.Zero.

Così passai un lungo periodo della mia vita alla ricerca dell'Irimitenkan perduto.
Cappello e frusta a parte, ero una sorta di Indiana Jones dell'Aikido!




Cosa è venuto fuori?

Che effettivamente in azione è impossibile agire con un irimitenkan puro.
L'irimi sulla linea tiene tori esposto all'attacco per troppo tempo.
E non crea nessuno spazio entro cui portare uke in disequilibrio durante la rotazione.

E il tenkan completo, passa attraverso una serie di shikoku (angoli morti), senza utilizzarli, per terminare in linea col compagno, nell'unica posizione in cui anche uke rispetto a tori è in shikoku.





Guardando quei maestri che non hanno utilizzato l'irimitenkan come pilastro, essi si servono di un taisabaki simile in apparenza, ma molto molto differente in pratica.

Se fanno solo Irimi, è un movimento profondo e tagliente.
Se fanno solo tenkan, spostano l'uke nel punto in cui essi si trovavano prima di muoversi.
Quando però sembra che abbinino entrambi i movimenti, in realtà non fanno i rimi, ma semplicemente scambiano le gambe uscendo un minimo dalla linea dell'attacco.
Quando poi ruotano, si muovono sempre su mezze rotazioni, mai su piroette complete.





Sono vari anni che utilizzo questo sistema di movimento al posto del classico IT.

Trovo che le possibilità che esso offra nel creare instabilità nell'attaccante, e nel chiudere ogni apertura, siano praticamente infinite.

Me lo conferma,solitamente, la faccia del mio uke quando entriamo in connessione su yokomenuchi,per esempio...
E stressa molto meno i legamenti del ginocchio.





Ma il punto non è quanto sono bravi i maestroni, o quanto un movimento è migliore di un altro.
Piuttosto, quanto sia importante mettere in discussione anche ciò che è nelle premesse della pratica, per trovare soluzioni innovative, fisiologicamente migliori, più efficienti e naturali.

E per aprire nuovi orizzonti ad una disciplina che vive troppo spesso, diciamocelo, di luoghi comuni ed intoccabili preconcetti.



9 novembre 2011

Improvvisare la libertà

Prendi un tizio.
Ma mica uno qualsiasi!
Uno proprio GIAPPONESE originale.
E gli fai fare Aikido all' Aikikai.
Vabbè..diciamo che gli fai fare un sacco di volte IkkyoNikkyoSankyo & Co.
Ma un SACCO di volte.
Finchè non le impara bene.
Ma talmente bene che gli affidano l'incarico di direttore didattico di una nazione intera!
La Tailandia, per l'esattezza.
E passano gli anni.
Ma mica due o tre?
30, 35!
Tanto che gli vengono i capelli bianchi del maestro e gli viene dato l'ottavo dan.
OTTAVO!
Ed il titolo di Shihan.
SHIHAN!
Ad una certa età e con un certo grado, con un bagaglio di esperienze alle spalle ed una nazione intera che ti invita  a  fare stages, ti senti pure un po' bravino,no?
E cerchi di esprimenti attraverso un aikido che non sia più sempre e soltanto coreografato, vi pare?
Si, esattamente.
Provi ad esprimere un Aikido Vivo.
Per l'appunto..PROVI!
Nel senso che se non ci hai lavorato in maniera specifica, se proprio durante un importantissimo embukai, improvvisi un Aikido Vivo su due piedi, per quatto tu possa essere graduato ed incensato, non hai che una sola possibilità: fare una figura di cacchissima.
Senza offesa per la cacca, che a modo suo, pure ha un'utilità....

La libertà non arriva per grazia e virtù dello spirito santo.
Non basta praticare lo schema perché un giorno, MAGICAMENTE, il nostro corpo si muova da solo in maniera adattiva.
E' uno studio che entra nello schema, lo frantuma fino a ricavarne i principi più profondi e lo ricostruisce a propria immagine e somiglianza,  in funzione della necessità.
Richiede anni di sperimentazione,competenza specifica, richiede, soprattutto, di mettersi in gioco continuamente.


Ecco a voi un modello vivente di come un aikido schematizzato praticato in maniera assoluta, per decenni, possa entrare in tilt nel momento in cui non c'è un canovaccio con il proprio uke.
Nonostante il grado.
Nonostante l'esperienza.
Nonostante l'incarico.



Sapete cosa mi fa una tristezza INAUDITA?
Il fatto che i commenti su youtube parlino di "pessimi uke", che "opponevano resistenza al maestro" e si "comportavano in maniera davvero maleducata!"

Questo è indottrinamento, è non voler vedere e non ammettere che questa dimostrazione non è solo brutta e malriuscita.
E' patetica.
In tutti i sensi.
Ed è una mortificazione per chiunque creda che nell'aikido debba esserci un minimo di serietà.