Parliamo di didattica. Se siete di quelli che sono convinti che l'Aikido si impari per induzione, respirando l'alito (quasi sempre pesante) dei grandi maestri, non continuate la lettura: potrei rovinarvi il pomeriggio.
Se al contrario credete che insegnare sia una scienza e che la comunicazione segua delle regole e dei tempi ben definiti, ritirate la tessera all'ingresso: siete i benvenuti nel club di Aikido Vivo.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: pur seguendo degli indirizzi didatticamente evoluti e con obiettivi in comune, due insegnanti possono utilizzare, e "possono" è un mero eufemismo, metodi di insegnamento completamente differenti.
Incredibilmente, nessuno dei due è sbagliato nè giusto. Gli aggettivi adatti sono "congeniale " o "non congeniale".
Chiarito questo, va da sè che, come per tutte le parole che trovate in questo blog, vi racconterò come vedo IO la cosa, ad oggi.
Il percorso di apprendimento evolve per obiettivi. Pensate ad un esempio....
Quelli che hanno pensato "Ikkyo" sono pregati di accomodarsi dietro la lavagna.
Ikkyo, o Iriminage o qualunque altra tecnica, sono strumenti. Sono gli esercizi per comprendere i principi.
L'obiettivo, dunque, è il principio.
Ok, faccio io un esempio per tutti: l'utilizzo del peso.
Come impostiamo delle lezioni perchè questo principio possa essere non solo capito, ma interiorizzato dalla nostra armata Brancaleone??
Io mi rifaccio alla matematica, materia che, a dire il vero, non ho mai amato a dismisura, ma che rende perfettamente l'idea.
Attraverso quali step si impara il Teorema di Pitagora?
Enunciato: si definisce cosa stiamo per imparare e si prende confidenza con l'idea del Teorema.
Esempio: si prendono dei problemi svolti e se ne seguono le logiche. Passo dopo passo ci si impadronisce della maniera in cui il buon Pitagora ci viene in aiuto in una situazione - tipo.
Applicazione: si prendono una serie di problemi volutamente creati per necessitare di cateti ed ipotenuse, si sceglie un livello di difficoltà crescente, e si propongono agli studenti, portandoli per mano a trovare la soluzione, possibilmente senza aiutarli troppo, nè demotivarli o mortificarli.
Compito in classe: il problema, di difficoltà medio alta, l'alunno e due ora per risolverlo.
Il test verifica al contempo la capacità di apprendimento ma anche la validità del approccio didattico utilizzato.
Bene. Oltre ad aver risvegliato in tutti noi un senso di malessere diffuso, ricordandoci della professoressa acida di Geometria, o del pessimo voto che puntualmente ci perseguitava su Pitagora, mi piacerebbe aver richiamato un immediato rapporto con quello che solitamente facciamo sul tatami.
Sinceramente mi auguro di si...
Prendiamo il nostro principio.
Dividiamo l'allenamento in tre aree definite, propedeutica, tecnica ed applicativa.
E disegnamo dei contorni per ognuna di queste aree.
Utilizzo del peso, abbiamo detto?
PROPEDEUTICA:
è l'area nella quale si definisce il tema di studio e, in maniera semplice e non definita tecnicamente, si approcciano le condizioni fisiche e psichiche affinchè il principio si manifesti.
L'utilizzo del peso, per esempio, è vincolato al corretto utilizzo della respirazione, al rilassamento delle spalle, al basculamento del bacino, alla percezione degli appoggi.
TECNICA:
E' l'area in cui si creano delle situazioni nelle quali si palesa l'utilità del principio in esame.
Katateryotedori Kokkyuho, per esempio (altresì detto Morotedori Naname Kokkyunage).
Il maestro mostra il movimento, lo sviscera tecnicamente e concentra i riflettori sulla parte dell'azione in cui la gestione del peso si rende indispensabile.
APPLICATIVA:
E' l'area nella quale l'insegnante propone un problema e l'allievo deve risolverlo utilizzando il principio studiato.
Il problema va costruito a variabili crescenti, in modo da stimolare la rielaborazione del principio nell'allievo, per venire fuori da situazioni sempre più complicate.
La proposta delle applicazioni è ovviamente in relazione alla qualità e all'esperienza della classe alla quale si insegna, ma a mio avviso non deve MAI mancare.
E' il momento ludico della pratica, ma allo stesso tempo il più formativo, perchè si passa dall'aula al laboratorio e lo studente diviene parte attiva del suo percorso di apprendistato.
Prima che lo diciate voi...si. Questa parte fa paura. Perchè? Perchè in primis, l'insegnante deve mettere sul tavolo prima di tutto la sua capacità applicativa. Questo vuol dire mettersi in gioco e rischiare di non riuscire a venire immediatamente fuori al labirinto che lui stesso ha creato.
Poco male! Meglio un insegnante che di tanto in tanto viene colpito da un genuino cazzotto che uno che non si mette mai sul banco di prova.
In secondo luogo fanno paura le soluzioni che gli allievi possono trovare: l'allievo che esprime se stesso attraverso la pratica è una gatta da pelare per chi è abituato a pensare alla disciplina com e ad una sua proprietà.
Perchè è molto più rassicurante fare il dittatore e definire come sbagliato tutto ciò che è diverso da noi, piuttosto che guidare la crescita del praticante, rispettando la sua Libertà.
PS: Ho volutamente lasciato da parte la sezione TEST, che voglio affrontare a parte, parlando delle prove di esame.
PPS: giochino: proviamo a descrivere propedeutica - tecnica ed applicazione del principio di Disequilibrio!
Ipse dixit!!
RispondiEliminaMettendo da parte il fatto che più leggo questo blog, più mi rendo conto dell'esistenza di infinite cose a me sconosciute, più mi deprimo per la mia immensa ignoranza e più tendo a cucire la mia bocca blasfema in tua presenza!!
Quando facciamo lezione non mi rendo conto di quanto lavoro organizzativo c'è dietro!
Deve essere difficile...
Comunque, il momento "ludico" della pratica, quello di cui metti in risalto la libertà dell'allievo, è quello che fa più paura anche a me!
Ne parlavate già nel post "anche e invece"...il fatto di abbandonare rigidi schemi mentali e di seguire l'istinto.
Tuttavia le poche volte che ho provato a non pensare, anche quando facevo karate, è andata piuttosto male!!...infatti o scappavo, o mi chiudevo a riccio per paura di farmi male, oppure tiravo dei ceffoni poco ehm...marziali.
Come risolvere questo problema? Basterà la pratica? Sarà l'esperienza a rendermi lucida anche in situazioni "non programmate"?
Grazie per il tuo lavoro.
Questo Blog nasce Innanzitutto per chi comincia ad avvicinarsi a questa disciplina ed alle arti marziali in genere.
RispondiEliminaCerco di trattare quei temi dei quali mi piacerebbe parlare a fine allenamento, dopo il saluto, ancora tutti sudati e col keikogi sbragato.
E' normale che ti sembri un mondo sconfinato...ma in realtà non è così tanto immenso come sembra.
Il momento dell'applicazione è quello che più spaventa.
Giustissimo! Se ti fermi a rifletterci su, è spesso la Paura a spingerci ad imparare un'arte marziale ed è quasi sempre la paura il nostro vero nemico, quello che ci rende immobili di fronte al pericolo o aggressivi difronte al diverso.
Quest'area serve anche a prendere coscienza e confidenza con le proprie paure, per essere meno spaventati dalla paura stessa e dalle emozioni che le ronzano intorno.
Il mio ruolo è quello di mantenere alto il livello di attenzione e di concentrazione durante questa parte della pratica, in modo che la "paura", non si possa mai annidare nella routine!
Il momento dell'applicazione è quello che più spaventa.
RispondiEliminaMi chiedo perché ??
Cos'è che lo rende tanto diverso dal momento in cui si allena una tecnica?
Non credo che ciò sia dovuto solo alla paura,piuttosto credo sia proprio l'infinità delle possibilità che abbiamo d'avanti nel momento dell'applicazione che ci paralizza.
Quando si allena una tecnica ognuno sa quale tecnica, come muovere il piede come ruotare le anche etc.
Quando si passa alla libera applicazione le possibilità sono infinite, ci si sente persi. Un po come quando da una stanza molto stretta si passa ad un grande spazio aperto e si perde per un attimo l'orientamento.
Ogni scelta comporta irrimediabilmente la morte di un altra, per un istante sono tutte lì davanti a noi e noi ne possiamo scegliere solo una perdendo così tutte le altre.
Credo sia proprio l'idea di perdere queste infinite possibilità che rende l'applicazione il momento più difficile.
Liberare la mente e Cavalcare l'onda del momento,facile da dire ma estremamente difficile da mettere in pratica ;)
Io trovo che, con l'allenamento costante, il momento dell'applicazione diventa il più divertente e creativo.
RispondiEliminaConcordo...spesso si tratta solo di prenderci confidenza!
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