In primis un ringraziamento a tutti voi per aver portato questo blog alla soglia dei 10000 contatti!
E' bello sapere di non essere soli...:)
Questa volta vi propongo un video.
Eccolo:
Guardatelo la prima volta, e lasciatevi affascinare da come questo insegnante penetri nella guardia di uke.
Guardate come il suo corpo fluisce negli spazi vuoti che la struttura di Shomen è portata a creare.
Visto?
Ok.
Ora riguardatelo.
E leggete bene i sottotitoli.
Voglio portare la vostra attenzione su l'ultima frase.
"Non afferrate mai da nessuna parte. Può darsi che il vostro partner cerchi di sfuggire e voglia ritrarsi. Dunque potreste sentire la necessità di afferrarlo. Ma mi chiedo se effettivamente ci sia bisogno di fare qualcosa a qualcuno che sta cercando di fuggire via."
Se non lo avete ancora fatto, vi rimando alla lettura di questo POST.
E vi chiedo di chiudere gli occhi e pensare a quante volte, senza risultati, avete cercato di trattenere con tutte le forze qualcuno che voleva andare via...
29 settembre 2011
27 settembre 2011
Ma l'Aikido è un'arte marziale?
L'ottimo Stephan Benedetti, risponde a questa domanda chiamando in causa Sun Zu, spiegando che il vero vincitore è colui che non combatte.
Non è che non sia d'accordo con lui, ma...
Sinceramente?Siamo un po’ stanchi.
Siamo un po’ stanchi di gente che alla domanda se l’Aikido sia o meno un’arte marziale, ci risponde spiegandoci l’inutilità del combattimento.
L’Aikido è un’arte marziale?
Prevede una risposta sola.
SI.
O No.
SI.
O No.
Come la vedo io?
L’Aikido è un’arte marziale a tutti gli effetti.
L’Aikido è un’arte marziale a tutti gli effetti.
Perché?
Perché l’armonia che nasce dall’armonia non ha bisogno di anni di Aikido per manifestarsi.
E’ ovvia, naturale e ridondante.
E’ ovvia, naturale e ridondante.
E meno male che c’è, aggiungerei.
L’Armonia che nasce dal caos, invece, è il miracolo al quale l’Aikido ci conduce.
Il cuore del vero aikidoka trova la pace al centro della battaglia.
E’ difficile?
Molto.
Riesce subito?
Niente affatto.
Molto.
Riesce subito?
Niente affatto.
Ma ripensate a perché vi siete avvicinati al tatami.Ripensate al vostro spirito puro di principiante.
Credevate nell’Aikido.
Non avevate bisogno di onanismi mentali, se qualcuno vi chiedeva “L’Aikido è un’arte marziale?”
Credevate nell’Aikido.
Non avevate bisogno di onanismi mentali, se qualcuno vi chiedeva “L’Aikido è un’arte marziale?”
Maestro è colui che semplifica, non colui che perverte.
E con tutto il rispetto per Benedetti ( che è un gran conoscitore di Aikido ed un grande budoka, in generale!) l’unico Aikido che conosco è quello che nasce da un’arte marziale, dal confronto col caos, con la paura, con lo stress.
E che da esse ricava armonia.
E con tutto il rispetto per Benedetti ( che è un gran conoscitore di Aikido ed un grande budoka, in generale!) l’unico Aikido che conosco è quello che nasce da un’arte marziale, dal confronto col caos, con la paura, con lo stress.
E che da esse ricava armonia.
22 settembre 2011
Lasciamoci ispirare...
Lentamente muore
Parole note
Costa solo 5,50 E e tutti i soldi vanno alla ricerca contro il cancro.
19 settembre 2011
La Tradizione, il Carosello e la Famosa Salsa
A casa mia il giorno di Natale è tradizione mangiare la famosa salsa.
E' una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
"Nonna, ma quest'anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?" col rombo del tuono alla finestra...
L'intingolo in questione nasce in un modo molto popolare.
Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate.
Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l'albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.
E' tradizione!
La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all'albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno.
Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.
Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito.
Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro "NO".
Definitivo, austero e senza scampo, decise che "A tradizione ce vò e tutti l' hann'à rispettà!"
Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l'anno successivo.
Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa.
Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente!
Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.
L'anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa.
Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà.
Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY.
Una bella passata di salsa nel bimbi la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e che fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.
I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto.
Abituati com'erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante.
Ma il sapore non lasciò dubbi!
Solo il buono della famosa, all'ennesima potenza!
Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all'Aikido.
Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico.
Ma non gli ho dato il link di questo blog...
Troppo spesso si parla dell'Aikido come di una disciplina tradizionale.
Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.
"Tradizionale - starete pensando - è l'Aikido del Fondatore!"
Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi.
La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!
Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l'Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.
Cosa credo io?
Penso che "Tradizione" sia rispettare l'obiettivo dell'arte.
O' Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita.
Questo era l'obiettivo.
Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito.
Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione.
La strada per perseguirlo è solo figlia dell'epoca.
Il metodo di allenamento non è tradizione.
E' scienza.
Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo.
Un tempo nel quale la televisione,per esempio, era ancora appannaggio di pochi.
Ci sarebbero voluti vent'anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.
Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky.
Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo.
Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi.
Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.
Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita.
Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso?
Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste?
Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste?
Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?
I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un'eresia, a Morihei che l'Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l'auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.
Studiamo la storia, va bene.
Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.
Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta! ;)
E' una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
"Nonna, ma quest'anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?" col rombo del tuono alla finestra...
L'intingolo in questione nasce in un modo molto popolare.
Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate.
Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l'albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.
E' tradizione!
La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all'albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno.
Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.
Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito.
Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro "NO".
Definitivo, austero e senza scampo, decise che "A tradizione ce vò e tutti l' hann'à rispettà!"
Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l'anno successivo.
Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa.
Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente!
Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.
L'anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa.
Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà.
Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY.
Una bella passata di salsa nel bimbi la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e che fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.
I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto.
Abituati com'erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante.
Ma il sapore non lasciò dubbi!
Solo il buono della famosa, all'ennesima potenza!
Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all'Aikido.
Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico.
Ma non gli ho dato il link di questo blog...
Troppo spesso si parla dell'Aikido come di una disciplina tradizionale.
Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.
"Tradizionale - starete pensando - è l'Aikido del Fondatore!"
Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi.
La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!
Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l'Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.
Cosa credo io?
Penso che "Tradizione" sia rispettare l'obiettivo dell'arte.
O' Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita.
Questo era l'obiettivo.
Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito.
Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione.
La strada per perseguirlo è solo figlia dell'epoca.
Il metodo di allenamento non è tradizione.
E' scienza.
Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo.
Un tempo nel quale la televisione,per esempio, era ancora appannaggio di pochi.
Ci sarebbero voluti vent'anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.
Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky.
Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo.
Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi.
Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.
Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita.
Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso?
Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste?
Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste?
Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?
I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un'eresia, a Morihei che l'Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l'auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.
Il valore della storia è tale se ci permette di non incorrere negli errori dei nostri avi.
Studiamo la storia, va bene.
Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.
Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta! ;)
14 settembre 2011
De Kihon Waza
Il mio post precedente ha scatenato un putiferio di commenti, tra blog e social network e diverse telefonate di chiarimenti.
Non so bene se la cosa mi piaccia o meno, ma posso dire con fierezza che qualunque cosa risvegli il sonnacchioso mondo degli aikidoka dal loro atavico torpore è sempre e comunque positiva!
Partiamo con un chiarimento generale, che a questo punto, mi sembra d'obbligo.
"Kihon Waza" come termine, vuol dire "Tecniche di base".
Nel mondo dell'Aikido questo termine oggi è appannaggio comune, ma chi ne ha fatto stendardo è la scuola di Iwama, discendenza diretta del maestro Saito, uno dei maggiori sostenitori dell'importanza del Kihon.
In questa scuola il Kihon waza è il primo livello di studio, individuato con un allenamento in stasi pressoché totale, con uno studio degli spazi e degli angoli più che del tempo e della dinamica.
L'altra faccia della medaglia è chiamata Ki no Nagare, che vuol dire "Fluire dell'energia", in relazione a ciò che non è più statico, ma in movimento.
Quando io parlo di Kihon Waza, invece, intendo parlare di tutto ciò che è legato agli schemi motori classici, dove attacco, risposta e caduta sono perfettamente organizzati in un modello pseudo-perfetto, che, siccome ci giunge dal passato, si assume come valido a priori, per tutti.
Tipo il principio che "L'omm adda puzzà!"
Io, dicevo, mi riferivo al Kihon Waza parlando di esercizio standardizzato, statico o dinamico che fosse.
Ed è proprio la standardizzazione dell'esercizio che ho bandito dal mio studio.
Credo che l'individuo sia il campo di ricerca, l'oggetto della nostra investigazione, non il l'esercizio.
L'esercizio è la lente di ingrandimento per vedere l'individuo.
Sarebbe alquanto anomalo guardare LA lente e non NELLA lente......
Se a qualcuno risulta strano quello che sto scrivendo è per un motivo molto semplice:
non riesce a staccarsi dalla suddivisione didattica classica dell'Aikido.
Parlo di quella schematizzazione che vede l'apprendistato come un susseguirsi di tecniche.
Aihanmi-Ikkyo - Gyakuhanmi Ikkyo - Shomenuchi Ikkyo - Katadori Ikkyo - Yokomen Ikkyo.
A che grado siamo? Circa terzo kyu...
Io credo che questa schematizzazione sia il problema.
Credo che non aiuti nella progressione, ma che appesantisca soltanto l'apparato.
Credo che la suddivisione debba essere fatta per aree di lavoro, e non per tecniche.
E non mi limito a crederlo. Lo faccio.
- Costruire una struttura
- Muovere una struttura nello spazio
- Muovere i segmenti interni della struttura
- Connettere due strutture
- Rompere la struttura di uke
Sono i criteri di studio secondo i quali suddivido il percorso, adesso.
Quando insegno un Waza, mi concentro sull'obiettivo di quel Waza.
"Portare la spalla di uke nel suo punto di triangolazione."
Non sul COME.
"Muovi prima il piede destro di mezzo passo, poi tira il braccio così..."
Il come è dell'individuo. E va bene così com'è, purché rispetti dei canoni GENERALI della disciplina:
Rilassamento - Centralizzazione - Postura - Integrità - Mobilità - Economia.
Chiarito ciò, entriamo nel merito.
Qual'è il problema del troppo Kihon?
Quello di non vedere attraverso la lente, ma semplicemente la lente.
In parole povere, quello di confondere il messaggio con il messaggero.
(Chi gioca in prima base?)
Come leggere le parole del mio blog e contare il numero di puntini, invece che concentrarsi sul concetto.
(Chi gioca in prima base!)
E restare talmente invischiati nel kihon dei puntini, da non riuscire a vedere che, sebbene la regola sia di 3, utilizzarne di più, a livello comunicativo, marca una pausa più lunga, sottende un concetto più esteso.
Ma per qualcuno i puntini sono solo tre.
Le forme di Ikkyo sono solo cinque.
L'aikido è composto da 23 tecniche.
Io faccio giusto e tu fai sbagliato.
E la mia banca è differente.
(CHI GIOCA IN PRIMA BASE??)
PS: a proposito del "LIBBRO", consiglio QUESTA divertente storiella!
Non so bene se la cosa mi piaccia o meno, ma posso dire con fierezza che qualunque cosa risvegli il sonnacchioso mondo degli aikidoka dal loro atavico torpore è sempre e comunque positiva!
Partiamo con un chiarimento generale, che a questo punto, mi sembra d'obbligo.
"Kihon Waza" come termine, vuol dire "Tecniche di base".
Nel mondo dell'Aikido questo termine oggi è appannaggio comune, ma chi ne ha fatto stendardo è la scuola di Iwama, discendenza diretta del maestro Saito, uno dei maggiori sostenitori dell'importanza del Kihon.
In questa scuola il Kihon waza è il primo livello di studio, individuato con un allenamento in stasi pressoché totale, con uno studio degli spazi e degli angoli più che del tempo e della dinamica.
L'altra faccia della medaglia è chiamata Ki no Nagare, che vuol dire "Fluire dell'energia", in relazione a ciò che non è più statico, ma in movimento.
Quando io parlo di Kihon Waza, invece, intendo parlare di tutto ciò che è legato agli schemi motori classici, dove attacco, risposta e caduta sono perfettamente organizzati in un modello pseudo-perfetto, che, siccome ci giunge dal passato, si assume come valido a priori, per tutti.
Tipo il principio che "L'omm adda puzzà!"
Io, dicevo, mi riferivo al Kihon Waza parlando di esercizio standardizzato, statico o dinamico che fosse.
Ed è proprio la standardizzazione dell'esercizio che ho bandito dal mio studio.
Credo che l'individuo sia il campo di ricerca, l'oggetto della nostra investigazione, non il l'esercizio.
L'esercizio è la lente di ingrandimento per vedere l'individuo.
Sarebbe alquanto anomalo guardare LA lente e non NELLA lente......
Se a qualcuno risulta strano quello che sto scrivendo è per un motivo molto semplice:
non riesce a staccarsi dalla suddivisione didattica classica dell'Aikido.
Parlo di quella schematizzazione che vede l'apprendistato come un susseguirsi di tecniche.
Aihanmi-Ikkyo - Gyakuhanmi Ikkyo - Shomenuchi Ikkyo - Katadori Ikkyo - Yokomen Ikkyo.
A che grado siamo? Circa terzo kyu...
Io credo che questa schematizzazione sia il problema.
Credo che non aiuti nella progressione, ma che appesantisca soltanto l'apparato.
Credo che la suddivisione debba essere fatta per aree di lavoro, e non per tecniche.
E non mi limito a crederlo. Lo faccio.
- Costruire una struttura
- Muovere una struttura nello spazio
- Muovere i segmenti interni della struttura
- Connettere due strutture
- Rompere la struttura di uke
Sono i criteri di studio secondo i quali suddivido il percorso, adesso.
Quando insegno un Waza, mi concentro sull'obiettivo di quel Waza.
"Portare la spalla di uke nel suo punto di triangolazione."
Non sul COME.
"Muovi prima il piede destro di mezzo passo, poi tira il braccio così..."
Il come è dell'individuo. E va bene così com'è, purché rispetti dei canoni GENERALI della disciplina:
Rilassamento - Centralizzazione - Postura - Integrità - Mobilità - Economia.
Chiarito ciò, entriamo nel merito.
Qual'è il problema del troppo Kihon?
Quello di non vedere attraverso la lente, ma semplicemente la lente.
In parole povere, quello di confondere il messaggio con il messaggero.
(Chi gioca in prima base?)
Come leggere le parole del mio blog e contare il numero di puntini, invece che concentrarsi sul concetto.
(Chi gioca in prima base!)
E restare talmente invischiati nel kihon dei puntini, da non riuscire a vedere che, sebbene la regola sia di 3, utilizzarne di più, a livello comunicativo, marca una pausa più lunga, sottende un concetto più esteso.
Ma per qualcuno i puntini sono solo tre.
Le forme di Ikkyo sono solo cinque.
L'aikido è composto da 23 tecniche.
Io faccio giusto e tu fai sbagliato.
E la mia banca è differente.
(CHI GIOCA IN PRIMA BASE??)
PS: a proposito del "LIBBRO", consiglio QUESTA divertente storiella!
La Base, il Tronista ed il Bisogno Costruito
Recentemente e dopo tanto tempo che non lo facevo, ho tenuto, su richiesta, un corso esclusivamente di Kihon waza.
Per chi non sapesse di cosa sto parlando, il Kihon è la forma di base, il sapere che proviene dal passato, sic et simpliciter come lo abbiamo ricevuto,lo trasmettiamo.
Che poi è una grande cazzata, fondamentalmente, perché il Kihon è qualcosa che non proviene dal Fondatore, ma dai suoi allievi che lo hanno definito( ognuno il loro!) per ragioni didattiche,mentre lui faceva altro.
Ma tralasciamo questa consapevolezza, altrimenti dovrei solo chiudere il post così, in una sorta di scripto interruptus che ci lascerebbe tutti un po' contratturati....
Riprendendo in mano il Kihon, nelle sue forme definite e dettagliatissime, nelle sue logiche spesso contorte ed inapplicabili, e nel suo approccio assolutamente macchinoso e poco spontaneo, mi sono accorto che insegnavo in maniera completamente differente.
Il Kihon è un movimento ideale. Perfetto (in teoria).
Si fa COSI'. E non ci sono santi.
C'è un passo? Quel passo deve essere lungo tot, trasportare tot peso e fermarsi su un angolo specifico e definito.
E mentre sottolineavo tutti i "doveri" che il Kihon richiede, in maniera inderogabile, guardavo intorno a me praticanti completamente differenti gli uni dagli altri.
Il più agile e smilzo si allenava con panciuto di mezza età, la ragazzina di turno che praticava con il palestrato, il tizio col fisico del pandoro che praticava con la vecchia volpe da tatami, esperto e tutto acciaccato.
E nessuno si ritrovava nei movimenti che il Kihon richiedeva.
Gambe troppo corte per quel passo, pesi troppo leggeri per quella posizione, o semplicemente culi troppo pesanti per quella velocità.
E l'esercizio che chiedeva OMOLOGAZIONE.
A pensarci mi viene la pelle d'oca...
L'esercizio chiedeva lo stesso movimento fatto alla stessa maniera dal piccoletto e dal gigante e portato nello stesso modo sul piccoletto e sul gigante....
Ma non vi sembra una cosa completamente folle?
No, dico sul serio.
Non vi pare un'idea cretina ed arrogante allo stesso tempo?
Mi guardavo intorno e vedevo le facce dei miei ragazzi.
Sono abituato a vederle stanche, sudate, arruffate, ma sempre sorridenti...
Mai così frustrate,però!
Allora mi è venuto in mente il gioco sporco del bisogno costruito.
Sapete come si vende un prodotto?
Se ne crea l'esigenza, anche quando è pressoché inutile.
Ora vi spiego.
Prendi un tizio affetto dalla patologia del neurone solitario.
Quella cosa che affligge coloro che ,avendo un solo neurone, non possono servirsene per fare due attività: o pensano o gli batte il cuore.
O respirano o si esprimono...
Lo fai palestrare e lo cuoci a fuoco lento sotto una bella lampada abbronzante.
Lo mandi da Maria Defilippi e lo circondi di strafighe, mononeurali, come lui.
Tu, che stai a casa e ti fai un cuore così a studiare o a lavorare, vedi continuamente immagini di questo tipo che vanta una vita da "sogno" (prrrrrr!), che non ti potrai permettere mai.
E in te scatta il senso di inadeguatezza.
E quando quella sensazione di non essere all'altezza del tronista di turno è ormai claustrofobica, ecco che il cameraman inquadra la camicia griffata del tizio.
Tu non hai quella camicia, quindi non assomigli al ciccioformaggio televisivo.
Chi non indossa camice marcate, è fuori da un certo giro.
E quindi che fai?
Scendi e fai provvista.
Ma nonostante la griffe, continui a frequentare sempre la stessa gente, a mangiare negli stessi locali, a dormire nello stesso letto.
E nella puntata successiva inquadrano le scarpe.....
Quando penso che io in primis,per anni, mi sono sentito inadeguato al Kihon, perché ero "troppo alto", o "troppo veloce" o,semplicemente, "troppo me stesso", mi vergogno e mi incazzo...
Ad uno stage la telecamera inquadrava il mignolino, un altro il piedino, un altro la testina ed ogni volta erano pezzi molto diversi dai miei!
Mi ricordo il mio sguardo, allo specchio mentre mi cambiavo.
Lo stesso che ho rivisto negli occhi dei miei allievi.
Frustrati di non essere all'altezza di una "perfezione" il cui livello viene spostato continuamente.
Una "perfezione" talmente ricca di dettagli e canoni schematizzati, da rendere il praticante bloccato,costruito,prevedibile, finto, inefficace...
Credo che ad oggi non insegnerò mai più questo genere di Kihon.
Il commercio di tecniche non mi interessa.
Preferisco lavorare le basi delle basi.
Scelgo di tenere i principi e di fare in modo che il movimento nasca nel rispetto di essi e dell'identità di chi lo esegue.
Perdonatemi, ma io scelgo l'imperfezione.
Per chi non sapesse di cosa sto parlando, il Kihon è la forma di base, il sapere che proviene dal passato, sic et simpliciter come lo abbiamo ricevuto,lo trasmettiamo.
Che poi è una grande cazzata, fondamentalmente, perché il Kihon è qualcosa che non proviene dal Fondatore, ma dai suoi allievi che lo hanno definito( ognuno il loro!) per ragioni didattiche,mentre lui faceva altro.
Ma tralasciamo questa consapevolezza, altrimenti dovrei solo chiudere il post così, in una sorta di scripto interruptus che ci lascerebbe tutti un po' contratturati....
Riprendendo in mano il Kihon, nelle sue forme definite e dettagliatissime, nelle sue logiche spesso contorte ed inapplicabili, e nel suo approccio assolutamente macchinoso e poco spontaneo, mi sono accorto che insegnavo in maniera completamente differente.
Il Kihon è un movimento ideale. Perfetto (in teoria).
Si fa COSI'. E non ci sono santi.
C'è un passo? Quel passo deve essere lungo tot, trasportare tot peso e fermarsi su un angolo specifico e definito.
E mentre sottolineavo tutti i "doveri" che il Kihon richiede, in maniera inderogabile, guardavo intorno a me praticanti completamente differenti gli uni dagli altri.
Il più agile e smilzo si allenava con panciuto di mezza età, la ragazzina di turno che praticava con il palestrato, il tizio col fisico del pandoro che praticava con la vecchia volpe da tatami, esperto e tutto acciaccato.
E nessuno si ritrovava nei movimenti che il Kihon richiedeva.
Gambe troppo corte per quel passo, pesi troppo leggeri per quella posizione, o semplicemente culi troppo pesanti per quella velocità.
E l'esercizio che chiedeva OMOLOGAZIONE.
A pensarci mi viene la pelle d'oca...
L'esercizio chiedeva lo stesso movimento fatto alla stessa maniera dal piccoletto e dal gigante e portato nello stesso modo sul piccoletto e sul gigante....
Ma non vi sembra una cosa completamente folle?
No, dico sul serio.
Non vi pare un'idea cretina ed arrogante allo stesso tempo?
Mi guardavo intorno e vedevo le facce dei miei ragazzi.
Sono abituato a vederle stanche, sudate, arruffate, ma sempre sorridenti...
Mai così frustrate,però!
Allora mi è venuto in mente il gioco sporco del bisogno costruito.
Sapete come si vende un prodotto?
Se ne crea l'esigenza, anche quando è pressoché inutile.
Ora vi spiego.
Prendi un tizio affetto dalla patologia del neurone solitario.
Quella cosa che affligge coloro che ,avendo un solo neurone, non possono servirsene per fare due attività: o pensano o gli batte il cuore.
O respirano o si esprimono...
Lo fai palestrare e lo cuoci a fuoco lento sotto una bella lampada abbronzante.
Lo mandi da Maria Defilippi e lo circondi di strafighe, mononeurali, come lui.
Tu, che stai a casa e ti fai un cuore così a studiare o a lavorare, vedi continuamente immagini di questo tipo che vanta una vita da "sogno" (prrrrrr!), che non ti potrai permettere mai.
E in te scatta il senso di inadeguatezza.
E quando quella sensazione di non essere all'altezza del tronista di turno è ormai claustrofobica, ecco che il cameraman inquadra la camicia griffata del tizio.
Tu non hai quella camicia, quindi non assomigli al ciccioformaggio televisivo.
Chi non indossa camice marcate, è fuori da un certo giro.
E quindi che fai?
Scendi e fai provvista.
Ma nonostante la griffe, continui a frequentare sempre la stessa gente, a mangiare negli stessi locali, a dormire nello stesso letto.
E nella puntata successiva inquadrano le scarpe.....
Quando penso che io in primis,per anni, mi sono sentito inadeguato al Kihon, perché ero "troppo alto", o "troppo veloce" o,semplicemente, "troppo me stesso", mi vergogno e mi incazzo...
Ad uno stage la telecamera inquadrava il mignolino, un altro il piedino, un altro la testina ed ogni volta erano pezzi molto diversi dai miei!
Mi ricordo il mio sguardo, allo specchio mentre mi cambiavo.
Lo stesso che ho rivisto negli occhi dei miei allievi.
Frustrati di non essere all'altezza di una "perfezione" il cui livello viene spostato continuamente.
Una "perfezione" talmente ricca di dettagli e canoni schematizzati, da rendere il praticante bloccato,costruito,prevedibile, finto, inefficace...
Credo che ad oggi non insegnerò mai più questo genere di Kihon.
Il commercio di tecniche non mi interessa.
Preferisco lavorare le basi delle basi.
Scelgo di tenere i principi e di fare in modo che il movimento nasca nel rispetto di essi e dell'identità di chi lo esegue.
Perdonatemi, ma io scelgo l'imperfezione.
11 settembre 2011
Un pò di acidità....
Già la domenica sera è una noia di default.
Ma cercare "Aikido" su Youtube ti fa veramente rimpiangere il caro vecchio "Drive In" con Ezio Greggio e Gianfranco D'Angelo!
No, sul serio.
Stasera proprio non ho voglia di essere diplomatico!
E' un gala di mediocrità da far impallidire il buon Maria De Filippi!
L'Aikido così com'è concepito fa tantissima acqua.
La maggior parte degli aikidoka preparati in maniera classica, reagirebbe ad un attacco reale non meglio di mia nonna Titina.
Mentre dorme in poltrona.
La maggior parte dei maestri di aikido formatisi leccando deretani e crescendo addomi, ha un ego grosso come un grattacielo ed odia chiunque non lo osanni.
E sul tubo ci sono innumerevoli video di gente del genere che esegue sempre le stesse forme e che continua ad asserire che ripeterle senza porsi domande migliorerà la tua capacità di combattere e ti renderà un uomo migliore!
Migliaia di Shomenuchi tirati una ciofeca, con sempre il solito Ikkyo di risposta, con l'uke addomesticato a correggere tutti gli errori ed a posizionarsi nella maniera meno intelligente possibile.
Milioni di randori con ventordici attaccanti che partono già sbilenchi, pronti a tuffarsi a bomba al primo movimento di tori, fosse anche guardare l'orologio....
Sapete che vi dico?
Che se per me l'aikido fosse quello che vedo in questi video, forse cambierei disciplina.
Nessuno, maledizione, ha voglia di mettersi alla prova e verificare la validità di quello che fa?
Nessuno si domanda come mai in natura non c'è essere umano che reagisca, spontaneamente, come un uke da kata?
Nessuno si chiede quale esempio morale può dare uno che ha più nemici che amici, e che adora vivere con la lingua degli altri infilata dove non batte il sole???
Scusatemi un attimo, vado un secondo a vomitare e poi torno.
Vabbè và...Beccatevene qualcuno più carino. Poi mi offrite il caffè.
Ma cercare "Aikido" su Youtube ti fa veramente rimpiangere il caro vecchio "Drive In" con Ezio Greggio e Gianfranco D'Angelo!
No, sul serio.
Stasera proprio non ho voglia di essere diplomatico!
E' un gala di mediocrità da far impallidire il buon Maria De Filippi!
L'Aikido così com'è concepito fa tantissima acqua.
La maggior parte degli aikidoka preparati in maniera classica, reagirebbe ad un attacco reale non meglio di mia nonna Titina.
Mentre dorme in poltrona.
La maggior parte dei maestri di aikido formatisi leccando deretani e crescendo addomi, ha un ego grosso come un grattacielo ed odia chiunque non lo osanni.
E sul tubo ci sono innumerevoli video di gente del genere che esegue sempre le stesse forme e che continua ad asserire che ripeterle senza porsi domande migliorerà la tua capacità di combattere e ti renderà un uomo migliore!
Migliaia di Shomenuchi tirati una ciofeca, con sempre il solito Ikkyo di risposta, con l'uke addomesticato a correggere tutti gli errori ed a posizionarsi nella maniera meno intelligente possibile.
Milioni di randori con ventordici attaccanti che partono già sbilenchi, pronti a tuffarsi a bomba al primo movimento di tori, fosse anche guardare l'orologio....
Sapete che vi dico?
Che se per me l'aikido fosse quello che vedo in questi video, forse cambierei disciplina.
Nessuno, maledizione, ha voglia di mettersi alla prova e verificare la validità di quello che fa?
Nessuno si domanda come mai in natura non c'è essere umano che reagisca, spontaneamente, come un uke da kata?
Nessuno si chiede quale esempio morale può dare uno che ha più nemici che amici, e che adora vivere con la lingua degli altri infilata dove non batte il sole???
Scusatemi un attimo, vado un secondo a vomitare e poi torno.
Vabbè và...Beccatevene qualcuno più carino. Poi mi offrite il caffè.
Aikido Seishinkai, dalla Germania. Thorsten Schoo è un Aikidoka formatosi con Tissier Sensei, uno studioso di Kenjutsu sotto la guida di Inaba Sensei e insegnante di Systema, graduato da Vasiliev.
Laureato in Filosofia, per di più.
Myamoto Tsuruzo è uno Shihan Hombu Dojo. Attore del teatro No ed allievo di Osawa e Yamaguchi Sensei. Potente ed adattivo.
Matti Joensuu è stato uno degli inventori dello Smartphone, alla Nokia in Finlandia. Allievo da più di trent'anni di Endo Sensei, è un esperto del disequilibrio e del mettere in movimento la struttura di uke.
Un pò Hippie e molto, molto libero.
Endo Sensei. Non devo aggiungere altro.
Ah, solo una cosa.
Lui non fa Aikido.
Lui E' l' Aikido.
Qui c'è una carrellata di spezzoni di ingressi su Yokomen.
Cacca e cioccolato mischiati in un unico video.
Come nella settimana enigmistica: trovate le differenze.
2 settembre 2011
I Druidi, L'Insegnante ed il Web 2.0
Diciamocelo pure.
E' dalla notte dei tempi che l'uomo ama ergersi sui propri simili utilizzando il vecchio trucco della "Comunicazione con gli dei".
Il canovaccio è più semplice delle storie di Paperino: si prende un popolo ignorante, lo si stupisce con un paio di giochi di prestigio, lo si indottrina sull'esistenza di qualcosa che sfugge alla loro miserabile comprensione e ci si erge quali ambasciatori di quella potenza sovrannaturale che può graziare, ma che se si incazza può radere al suolo in un niente.
Ora,permettetemi un consiglio.
Se spostate il vostro immaginario dagli Incas ed i villaggi Celtici e lo trascinate nel mondo dell'informatica, della politica o semplicemente della televisione, vi accorgerete che, a parte l'area nella quale siamo ignoranti, le cose, ai giorni nostri, non vanno poi tanto diversamente.
Qualunque papera di gomma esca col simbolo della mela morsicata, per esempio, è un'ostia consacrata che padre Steve vende (a caro prezzo) ai suoi fedeli.
Qualunque imbecille tatuato si circondi di chierichette siliconate è un cardinale sull'altare della tv.
Perché, pur essendone tutti a conoscenza, non riusciamo ad evitare di comportarci da selvaggi tecnologici?
Per quale motivo siamo disposti a pagare danaro, tempo ed integrità mentale pur di avere qualcuno che ci dica cosa essere?
Perché abbiamo una paura fottuta, secondo me.
Perché l'errore dell'altro è un errore deresponsabilizzante, al quale non dobbiamo rimediare personalmente e che non ci mette alla berlina col mondo, che lo commette assieme a noi.
E, ditemi voi, perché l'Aikido dovrebbe essere differente?
Ecco, appunto.
Non lo è per niente.
L'Aiki è la divinità, O Sensei ne è il profeta ed i Maestroni a lezione sono i sacerdoti.
Uno detiene il verbo, tutti dipendono da lui.
Uno conosce la soluzione, gli altri brancolano nel buio.
Uno detta, gli altri eseguono.
Perché è bravo? Forse!
Ma soprattutto perché ci da passivamente il nostro compitino a casa.
E noi, da bravi scolaretti, impariamo la poesia a memoria e chiediamo la lode.
Ok.
Quando finisce la commedia?
Per favore, qualcuno mi dice dove si accendono le luci?
Ho sentito dire che siamo nel XXI secolo e che è l'era del web 2.0.
Ho sentito dire che tante menti sono meglio di una mente sola.
Ho sentito dire che collaborando alla soluzione di un problema, se ne risolvono tutte le sfaccettature, e non una soltanto.
E mi sono rotto le palle di lezioni che assomigliano sempre di più a funzioni religiose, col predicatore di turno che vuol vendere la saggezza ancestrale.
Ho bisogno di riti collettivi, di tamburi che suonano in armonia e di persone che hanno voglia di pensare, di parlare e di dire la loro.
Ho bisogno di occhi diversi dai miei, per guardare la pratica da più angolazioni possibile.
Ho bisogno di domande che non mi aspetto e di insegnanti che ascoltino, prima di proclamare.
E che la smettano, una volta e per tutte , di nascondersi dietro i vari "Praticate poi capirete", o "Si fa così perché lo faceva il mio Maestro".
Cooperazione, partecipazione,collaborazione.
Ecco il mantra.
La lezione come laboratorio di ricerca, e non come sacrificio religioso all'Ego dell'insegnante.
Perché i campi di battaglia, i riti Maya, i Druidi....sono lontani millenni.
Perché un sistema che non si evolve nella didattica prima e nelle potenzialità,poi,è un sistema inadatto a rispondere ai problemi dell'era in cui vive.
Ed e' un sistema destinato ad estinguersi.
E' dalla notte dei tempi che l'uomo ama ergersi sui propri simili utilizzando il vecchio trucco della "Comunicazione con gli dei".
Il canovaccio è più semplice delle storie di Paperino: si prende un popolo ignorante, lo si stupisce con un paio di giochi di prestigio, lo si indottrina sull'esistenza di qualcosa che sfugge alla loro miserabile comprensione e ci si erge quali ambasciatori di quella potenza sovrannaturale che può graziare, ma che se si incazza può radere al suolo in un niente.
Ora,permettetemi un consiglio.
Se spostate il vostro immaginario dagli Incas ed i villaggi Celtici e lo trascinate nel mondo dell'informatica, della politica o semplicemente della televisione, vi accorgerete che, a parte l'area nella quale siamo ignoranti, le cose, ai giorni nostri, non vanno poi tanto diversamente.
Qualunque papera di gomma esca col simbolo della mela morsicata, per esempio, è un'ostia consacrata che padre Steve vende (a caro prezzo) ai suoi fedeli.
Qualunque imbecille tatuato si circondi di chierichette siliconate è un cardinale sull'altare della tv.
Perché, pur essendone tutti a conoscenza, non riusciamo ad evitare di comportarci da selvaggi tecnologici?
Per quale motivo siamo disposti a pagare danaro, tempo ed integrità mentale pur di avere qualcuno che ci dica cosa essere?
Perché abbiamo una paura fottuta, secondo me.
Perché l'errore dell'altro è un errore deresponsabilizzante, al quale non dobbiamo rimediare personalmente e che non ci mette alla berlina col mondo, che lo commette assieme a noi.
E, ditemi voi, perché l'Aikido dovrebbe essere differente?
Ecco, appunto.
Non lo è per niente.
L'Aiki è la divinità, O Sensei ne è il profeta ed i Maestroni a lezione sono i sacerdoti.
Uno detiene il verbo, tutti dipendono da lui.
Uno conosce la soluzione, gli altri brancolano nel buio.
Uno detta, gli altri eseguono.
Perché è bravo? Forse!
Ma soprattutto perché ci da passivamente il nostro compitino a casa.
E noi, da bravi scolaretti, impariamo la poesia a memoria e chiediamo la lode.
Ok.
Quando finisce la commedia?
Per favore, qualcuno mi dice dove si accendono le luci?
Ho sentito dire che siamo nel XXI secolo e che è l'era del web 2.0.
Ho sentito dire che tante menti sono meglio di una mente sola.
Ho sentito dire che collaborando alla soluzione di un problema, se ne risolvono tutte le sfaccettature, e non una soltanto.
E mi sono rotto le palle di lezioni che assomigliano sempre di più a funzioni religiose, col predicatore di turno che vuol vendere la saggezza ancestrale.
Ho bisogno di riti collettivi, di tamburi che suonano in armonia e di persone che hanno voglia di pensare, di parlare e di dire la loro.
Ho bisogno di occhi diversi dai miei, per guardare la pratica da più angolazioni possibile.
Ho bisogno di domande che non mi aspetto e di insegnanti che ascoltino, prima di proclamare.
E che la smettano, una volta e per tutte , di nascondersi dietro i vari "Praticate poi capirete", o "Si fa così perché lo faceva il mio Maestro".
Cooperazione, partecipazione,collaborazione.
Ecco il mantra.
La lezione come laboratorio di ricerca, e non come sacrificio religioso all'Ego dell'insegnante.
Perché i campi di battaglia, i riti Maya, i Druidi....sono lontani millenni.
Perché un sistema che non si evolve nella didattica prima e nelle potenzialità,poi,è un sistema inadatto a rispondere ai problemi dell'era in cui vive.
Ed e' un sistema destinato ad estinguersi.
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