25 marzo 2012

Il Secchione, "As if" ed il Momento del gioco

Dopo tanti anni passati ad insegnare, inevitabilmente si finisce con l'osservare i metodi di insegnamento degli altri.

Voglio dire, quando partecipi ad un seminario, non studi solo quello che ti insegnano.
Non puoi fare a meno di osservare COME te lo insegnano.

Giù in strada lo chiamano "Rubare il mestiere".


L'approccio giapponese alla cosa è del tutto caratteristico.

Loro insegnano "As If".

"Come alzare spada", "come raccogliere sasso", "come posare cappello"...

La parte buona di questo metodo è che cerca di utilizzare dei prequisiti di movimento, piuttosto che instillarne di nuovi.

Non viene fatto un reset totale degli schemi motori.

Si prende l'allievo e lo si cala tout court in mezzo al mare.

Un tempo a Napoli si insegnava ai bambini a nuotare nello stesso identico modo.




Il lato oscuro di questa teoria è che si impara a fare ma non si impara ad insegnarlo!

Non resta altro metodo che quello di lanciare il moccioso nell'acqua e sperare che sopravviva...

Lasciando i sopravvissuti capaci a mantenersi a galla, ma ben lontani dal nuotare in maniera competente!

Ricordo mio nonno, che galleggiava senza difficoltà, ma che andava nel panico se qualcuno gli nuotava nei paraggi...

L'altro approccio è quello occidentale.

L'approccio del "Secchione". Quello che deve sapere TUTTO, ma proprio TUTTO, altrimenti non muove un passo.

Nel mio cammino, pensate, ho incontrato gente che diceva che ad ogni grado corrisponde una forma della stessa tecnica...

Quando gli chiedevi qual era il kihon per shomenuchi sankyo, ti rispondevano "per quale esame???"

Schizzati come un tappo di spumante ad una festa in piscina...

Questo approccio ha la pretesa di cambiare completamente il tuo sistema operativo, reinsegnandoti da zero ogni pattern di movimento e rimpizzandoti le meningi con nomi, coreografie e dettagli di ogni tipo, da come mettere il dito della mano inutilizzata a come pettinarsi le ascelle prima di fare una caduta...

Qui esiste un percorso didattico, per quanto contorto e incasinato.

Ma il lato b della cosa è che nessuno è veramente capace di muoversi in azione libera.

Come un esperto di biomeccanica del nuoto e gestualità degli stili, che non è mai sceso in acqua.

Ed infatti si vedono randori e jyuwaza che fanno sbellicare di sonore risate il mio deretano.




"E dunque???"
Vi starete chiedendo.
Ok, dico la mia.

Io credo che un kihon debba esistere.

Credo che debba essere finalizzato all'ottimizzazione dei gesti, non all'apprendimento delle forme.

Più è semplice e meglio è.

E più si riesce a compattare il sapere necessario in un numero esiguo di kihon, e più siamo davanti ad un sistema affidabile.

Perché credo che lo step successivo non sia imparare kihon più difficili.

Credo che sia svuotare la mente da tutto e lasciare che il corpo ascolti la realtà ed il momento e risponda, potente e spontaneo, a ciò che essi richiedono.

Perché ciò sia possibile, perché la mente si sciolga un po', è necessario il momento del gioco.




Quello nel quale si mettono i mattonicini lego davanti al bambino e lo si lascia sperimentare.

Il momento in cui togliamo il modello da colorare e ci troviamo da soli, col nostro foglio bianco ed i pastelli.

Il momento in cui sbagliamo spesso e consumiamo chili di gomma per cancellare.

Finchè non abbiamo più paura dell'errore ed accettiamo finalmente ciò che stiamo facendo e noi stessi attraverso di lui.


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