15 aprile 2012

Il preconcetto, mia nonna e la doccia propedeutica

Ci sono thriller in cui, già nei titoli di testa, hai capito chi è l'assassino.
Il maggiordomo, o il postino, che in quel caso si sputtana alla seconda scampanellata.

Ce ne sono altri in cui non capisci chi è l'assassino nemmeno ai titoli di coda.
Quelli pieni di personaggi dai nomi quasi uguali, con le scene desaturate, in modo che nemmeno i colori possano aiutarti e con flashback e flashback nei flashback, che dopo dieci minuti non sai più cosa stai guardando e cominci a giochicchiare col telefonino.



Poi ce ne sono alcuni in cui, ad arte, per tutti i primi 80 minuti vieni convinto dal regista che l'assassino è quello brutto e cinico, che ha sempre le mani lorde di sangue e si trova sempre mezzo nascosto nell'ombra
e negli ultimi dieci minuti viene fuori che il tizio è uno stinco di santo con le mani sporche di marmellata e fotofobico, mentre l'assassino è la mamma paraplegica del protagonista.



Un colpo di scena sparato senza preavviso, che ottiene sempre l'effetto desiderato, perché picchia laddove fa più male: sui nostri preconcetti e le nostre certezze.

Questo mi fa pensare a noi aikidoka.

Quante delle cose che diamo per scontate, invece sono a prezzo pieno?

Voglio dire, quante delle nozioni su chi basiamo completamente la nostra conoscenza, anzi di più, il nostro pensiero e la nostra visione marziale, sono davvero dei pilastri intoccabili e rappresentano effettivamente le fondamenta più stabili su cui erigere tutto il resto?

Mettetevi seduti comodi e facciamo qualche piccolo esempio.

Omote ed ura, per esempio.

Diamo per scontato che in Aikido esistano due forme di una stessa tecnica, che hanno lo stesso nome, Ikkyo, per esempio, ma che la sigla "o mote" o "ura" individui due azioni completamente differenti, due tecniche che cominciano e finiscono in due punti agli antipodi l'uno dall'altro.






Così, Ikkyo omote, comincia con un passo in direzione della pancia di uke e si sviluppa avanzando, mentre Ikkyo Ura comincia con un passo in direzione della sua schiena e si sviluppa girando.

La certezza è che noi possiamo decidere da subito se passare in omote o ura e scegliere la direzione in funzione di quello che più ci da sfizio in quel momento.

Tipo pokemon.
"Pikachu, scelgo teee!"




Quando vediamo un insegnante, invece, muoversi in direzione della schiena di uke, per rientrare verso il suo addome, rimaniamo sorpresi e sconvolti dal colpo di scena, dall'assassino inaspettato.

Quando qualcuno cambia le carte in tavola, ci lascia sempre perplessi ed interdetti...
Probabilmente perché non abbiamo mai pensato che non dovremmo avere né carte né tavole nella nostra mente...

Quando insegno omote ed ura, oggi comincio sempre nello stesso modo. Ingaggiando un contatto e guidandolo in posizione di disequilibrio.
Omote o Ura sono il risultato di un posizionamento del compagno per riequilibrarsi, avanzando con un piede o con un altro e mettendoci in uno spazio interno o esterno alla sua guardia.

A conti fatti è così che preferisco chiamare le due versioni: interna ed esterna, soto ed uchi.

Omote ed Ura, invece, significano "Visibile e Nascosto".
Il mio parere, mi pare di averlo scritto da qualche parte in giro, è quello che Omote fosse la parte della strategia che poteva essere mostrata agli altri ed Ura, quella da tenere nascosta, da insegnare solo agli uomini di cui ci si fidava veramente.
Ikkyo, o chi per esso, era la somma delle due parti, la cima ed il corpo dell'Iceberg.





Oppure vogliamo fare l'esempio di Irimitenkan?

Dal primo istante che saliamo sul tatami ci convincono che sia possibile girare intorno a qualcuno che nel frattempo ci permette di arrivargli alle spalle.

Qualcuno che è,se visualizzassimo il kata di iriminage per esempio, il centro del cerchio, nell'irimitenkan, al quale basterebbe un passo per eludere il nostro movimento e controllare il nostro centro.

Quel passo che faremmo noi, se a girarci intorno fosse uke....

La perversione dell'allenamento che crea due coscienze, una furba e smaliziata, tori, ed una idiota e senza riflessi, uke.

Eppure, ogni volta che provo a girare intorno a mia nonna, che è maestra di ragù e ignorante di arti marziali, lei si gira sempre per vedere dove vado, e così facendo controlla comunque il mio centro....




Eppure mentre ruotiamo per portarci paralleli ad uke, non ci accorgiamo che siamo passati attraverso una moltitudine di angoli nei quali eravamo noi a controllare l'azione, dai quali muoverlo, sbilanciarlo o colpirlo, era semplice oltre che possibile...

Gli stessi angoli tanto preziosi quando facciamo Bokken o Jo, per esempio...
Ma che dimentichiamo di sviluppare, quando siamo in taijutsu.
Armi che mancheranno al nostro arsenale quando saremo in azioni libere.

Ok.
SE saremo in azioni libere...

Il messaggio è chiaro.
Mettere in discussione ciò che diamo per certo ci aiuta a diventare più consapevoli del nostro percorso.
Se siamo ancora sulla strada, se andiamo dove volevamo andare e se quello era il posto migliore da cui partire.
E smettiamola di credere alle cazzate che imparando ad agitare le braccia sotto la doccia ci stiamo allenando a nuotare.
Che è uno step propedeutico obbligato per sopravvivere in acqua.
Alleniamoci a muoverci così come vogliamo muoverci, senza prenderci in giro.
E senza lasciare che lo facciano gli altri.



Saltando di palo in frasca, questo è un video carino sul Systema. Fatemi sapere se vi è piaciuto.

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