14 settembre 2011

La Base, il Tronista ed il Bisogno Costruito

Recentemente e dopo tanto tempo che non lo facevo, ho tenuto, su richiesta, un corso esclusivamente di Kihon waza.

Per chi non sapesse di cosa sto parlando, il Kihon è la forma di base, il sapere che proviene dal passato, sic et simpliciter come lo abbiamo ricevuto,lo trasmettiamo.



Che poi è una grande cazzata, fondamentalmente, perché il Kihon è qualcosa che non proviene dal Fondatore, ma dai suoi allievi che lo hanno definito( ognuno il loro!) per ragioni didattiche,mentre lui faceva altro.



Ma tralasciamo questa consapevolezza, altrimenti dovrei solo chiudere il post così, in una sorta di scripto interruptus che ci lascerebbe tutti un po' contratturati....


Riprendendo in mano il Kihon, nelle sue forme definite e dettagliatissime, nelle sue logiche spesso contorte ed inapplicabili, e nel suo approccio assolutamente macchinoso e poco spontaneo, mi sono accorto che insegnavo in maniera completamente differente.

Il Kihon è un movimento ideale. Perfetto (in teoria).
Si fa COSI'. E non ci sono santi.

C'è un passo? Quel passo deve essere lungo tot, trasportare tot peso e fermarsi su un angolo specifico e definito.




E mentre sottolineavo tutti i "doveri" che il Kihon richiede, in maniera inderogabile, guardavo intorno a me praticanti completamente differenti gli uni dagli altri.

Il più agile e smilzo si allenava con panciuto di mezza età, la ragazzina di turno che praticava con il palestrato, il tizio col fisico del pandoro che praticava con la vecchia volpe da tatami, esperto e tutto acciaccato.

E nessuno si ritrovava nei movimenti che il Kihon richiedeva.

Gambe troppo corte per quel passo, pesi troppo leggeri per quella posizione, o semplicemente culi troppo pesanti per quella velocità.



E l'esercizio che chiedeva OMOLOGAZIONE.

A pensarci mi viene la pelle d'oca...

L'esercizio chiedeva lo stesso movimento fatto alla stessa maniera dal piccoletto e dal gigante e portato nello stesso modo sul piccoletto e sul gigante....

Ma non vi sembra una cosa completamente folle?

No, dico sul serio.
Non vi pare un'idea cretina ed arrogante allo stesso tempo?

Mi guardavo intorno e vedevo le facce dei miei ragazzi.
Sono abituato a vederle stanche, sudate, arruffate, ma sempre sorridenti...
Mai così frustrate,però!




Allora mi è venuto in mente il gioco sporco del bisogno costruito.

Sapete come si vende un prodotto?
Se ne crea l'esigenza, anche quando è pressoché inutile.

Ora vi spiego.

Prendi un tizio affetto dalla patologia del neurone solitario.
Quella cosa che affligge coloro che ,avendo un solo neurone, non possono servirsene per fare due attività: o pensano o gli batte il cuore.
O respirano o si esprimono...
Lo fai palestrare e lo cuoci a fuoco lento sotto una bella lampada abbronzante.

Lo mandi da Maria Defilippi e lo circondi di strafighe, mononeurali, come lui.




Tu, che stai a casa e ti fai un cuore così a studiare o a lavorare, vedi continuamente immagini di questo tipo che vanta una vita da "sogno" (prrrrrr!), che non ti potrai permettere mai.

E in te scatta il senso di inadeguatezza.
E quando quella sensazione di non essere all'altezza del tronista di turno è ormai claustrofobica, ecco che il cameraman inquadra la camicia griffata del tizio.

Tu non hai quella camicia, quindi non assomigli al ciccioformaggio televisivo.
Chi non indossa camice marcate, è fuori da un certo giro.




E quindi che fai?
Scendi e fai provvista.
Ma nonostante la griffe, continui a frequentare sempre la stessa gente, a mangiare negli stessi locali, a dormire nello stesso letto.

E nella puntata successiva inquadrano le scarpe.....

Quando penso che io in primis,per anni, mi sono sentito inadeguato al Kihon, perché ero "troppo alto", o "troppo veloce" o,semplicemente, "troppo me stesso", mi vergogno e mi incazzo...

Ad uno stage la telecamera inquadrava il mignolino, un altro il piedino, un altro la testina ed ogni volta erano pezzi molto diversi dai miei!




Mi ricordo il mio sguardo, allo specchio mentre mi cambiavo.
Lo stesso che ho rivisto negli occhi dei miei allievi.

Frustrati di non essere all'altezza di una "perfezione" il cui livello viene spostato continuamente.

Una "perfezione" talmente ricca di dettagli e canoni schematizzati, da rendere il praticante bloccato,costruito,prevedibile, finto, inefficace...



Credo che ad oggi non insegnerò mai più questo genere di Kihon.
Il commercio di tecniche non mi interessa.
Preferisco lavorare le basi delle basi.
Scelgo di tenere i principi e di fare in modo che il movimento nasca nel rispetto di essi e dell'identità di chi lo esegue.

Perdonatemi, ma io scelgo l'imperfezione.

12 commenti:

  1. Bravo Fabio! Sono assolutamente d'accordo con te!

    RispondiElimina
  2. Bravo!! Quello che dici è giusto!! Io insegno Aikido Yoshinkan, sicuramente uno degli "stili" più schematici, almeno questo è quello che pensa la gente. Il mio pensiero, invece, è che non importa quale "stile" si pratichi, ma ciò che conta è come si riesca ad apprendere i principi e, poi, saperli applicare. E questo dipende da praticante a praticante, da persona a persona. Io nel mio dojo, oltre ad insegnare il kihon waza e kihon dosa (che credo sia importante per apprendere la giusta postura del corpo e facile da insegnare ad un novizio) una volta a settimana propongo un allenamento alternativo, rispetto ai soliti allenamenti yoshinkan, ossia, un allenamento basato su quello che hai scritto in questo bellissimo post. Solo Sani Principi.
    E' vero, insegno anche molte schematizzazioni, ma insegno anche a saperle rompere, a come saper tornare liberi. Penso sia utile anche nella vita di tutti i giorni.
    Provo un grande rispetto per te e i tuoi insegnamenti.
    Saluti a tutti.

    RispondiElimina
  3. Sono senza parole per quello che ho letto, a prescindere dall'esperienza personale e dai miei maestri, uno dei quali sarebbe quello qui considerato l'inventore del kihon. Ma per altri due motivi: il primo perché il libro Budo di Morihei Ueshiba contiene praticamente solo foto tecniche in cui il Fondatore esegue le tecniche in kihon, e secondo perché lo stesso Doshu in mia presenza ha in un'occasione sottolineato come suo nonno desse importanza allo studio del kihon prima di progredire nel ki no nagare. Trovo questo intervento piuttosto sconcertante, anche se la cosa non mi interessa particolarmente. Un saluto a tutti. Francesco Corallini

    RispondiElimina
  4. Un appunto: i puntini di sospensione sono tre, non quattro.

    RispondiElimina
  5. Ho una certa età ed ho ricevuto una certa educazione, scolastica e familiare, cosa che non può non riverberarsi in quello che facci e che penso. Personalissimevolmente considero il kihon al pari di quelle pagine e pagine che all'asilo io ed i miei coetanei abbiamo riempito di sbarrette e cerchi per imparare a scrivere, poi sono arrivale le lettere copiate dallo stile corsivo dell'abecedario. Tutte fatte in maniera quasi indistinguibile da quelle del compagno di banco. Poi ciascuno avrebbe sviluppato una sua grafia, partendo da una base comune.
    Ecco, io considero il kihon come l'esecuzione di scale e solfeggi musicali, non si sta ancora suonando davvero ma si stanno costruendo le basi necessarie (indispensabili?) per farlo in maniera consapevole e non da scimmie ammaestrate o da reattivi istintivi.
    Poco utile fermarsi al kihon oltre il necessario, poco opportuno (IMHO) saltarlo a piè pari.
    Un altra cosa che dio ai miei allievi è che il kihon ci permette di esplorare "lo spazio" per poi passare alla esplorazione del "tempo" nel ki-no-nagare, alla ricerca del "ma-ai" migliore del momento.
    Ho imparato molto ogni volta che mi sono sentito a disagio ed ho capito che mi si offriva l'opportunità di esplorare cosa "non funzionasse" ;-) come diceva Edison "Se fallisco 1000 volte un esperimento, non ho perso tempo".
    Ovviamente stimo troppo Fabio come insegnante per mettere in discussione il suo metodo didattico, dico solo che se uno zuccone come me, quando mise piede per la prima volta su un tatami, non avesse incontrato la rigorosa, solida, razionale e paziente pratica del kihon, sarebbe scappato a gambe levate come un asino capitato in mezzo ad una banda musicale.

    carlo, adelante con judicio

    RispondiElimina
  6. maestro...io ti perdono! ora va...e non peccare più! hahahhahaha

    RispondiElimina
  7. x Aiki Yoshi: D'accordo perfettamente, purché il cambio di modalità non confonda completamente la coscienza corporea dell'allievo, che nel momento dell'applicazione, attiva in automatico il kata e nel momento del kata cerchi l'applicazione!

    x Stefania: Grazie Stè! Ci incontreremo mai???

    x Alessandro: Redimimi!

    x Carlo: i nostri punti di vista sono meno lontani di quanto tu possa immaginare.

    x Francesco: http://aikidovivo.blogspot.com/2011/09/de-kihon-waza.html

    RispondiElimina
  8. X Fabio: che i nostri punti di vista siano meno lontani di quanto appaio ne sono più che certo anche io. Personalmente ripeto spesso che la tecnica è un "mezzo" per comprendere un principio e non il "fine" ultimo della pratica. Devo sperimentare "come" eseguire ikkyo, nikkyo, sankyo e yonkyo per capire poi "quando" eseguire ikkyo, nikkyo, sankyo o yonkyo (illuminanti, a questo proposito, i masterclass condotti da Francesco Corallini sensei quest'anno e incentrati sui katame waza). Questo concetto richiede che Uke faccia il suo mestiere e che Tori faccia funzionare il cervello (e non solo...). Se mancano questi presupposti di base si finisce in uno "scontro tra titani" o - all'opposto - nella famigerata e triste pantomima degli aikidancer.
    Visto che si è citato un libro, permettetemi di fare lo stesso, riportando un passo di un libro a me molto caro, e che descrive alla perfezione una sensazione che potrà non apparire sconosciuta a molti e che io uso spesso per sottolineare l'importanza - ma anche il rischio - di seguire ciecamente comode strade già battute senza riflettere su cosa si sta facendo:
    "La nostra pratica in effetti è un cammino nelle sabbie, dove ci si deve guidare con la stella del Nord, piuttosto che con le orme che vi si vedono impresse. La confusione delle tracce, che un numero quasi infinito di persone vi ha lasciato, è così grande, e vi si trovano così tanti sentieri diversi, che conducono quasi tutti in orrendi deserti, che è quasi impossibile non deviare dalla vera via, che solo i saggi favoriti dal Cielo hanno saputo fortunatamente scoprire, e riconoscere."
    (Da “Lettere musulmane Riflessioni sull'Alchimia” di Paolo Lucarelli – Edizioni Promolibri Magnanelli)

    RispondiElimina
  9. per Carlo:
    i sistemi didattici con i quali hai studiato, sono finiti nel cestino con disonore .
    Soppiantati da metodi più moderni e "performanti".
    Non vedo perché questa cosa se applicata all'Aikido debba creare mal di pancia.
    Uke (training partner) fa quello che deve fare e Tori non fa funzionare il cervello, ma semplicemente cerca di controllare istintivamente, con il corpo non col cervello, il partner.
    L'obiettivo è l'armonia nella relazione, il metodo... non certo l'applicazione di ikkyo A piuttosto che nikkyo C.
    Il che non significa non conoscere queste tecniche, ma solo non farle diventare il metodo, ma solo uno dei tanti strumenti, tra l'altro non necessari, al raggiungimento dell'obiettivo posto.

    RispondiElimina
  10. Sono completamente d'accordo, abbiamo molti modi in comune di interpretare ed insegnare l'aikido.
    Solo la curiosità e la voglia di mettersi in gioco ci permettono di uscire dagli schemi tecnici che sono solo prigioni che rassicurano i molti ma troppo strette per chi, come noi, spesso si chiede il perché delle cose.
    Bravo.
    Se hai piacere ti invito a visitare il mio sito, grazie
    www.sentieridelse.it

    RispondiElimina
  11. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  12. Quanto sconcerto per così poco ....
    brutta bestia l'identificazione

    RispondiElimina